La magia della poesia
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La magia della poesia

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di Maria Rita Di Rollo

 

 

È difficile dare una definizione univoca del concetto di poesia. Semplicemente inizieremo col dire che la poesia è suono, musica che evoca passioni, emozioni e sentimenti, giocando con le parole e traslando il significato reale e denotativo del linguaggio. Se dovessimo seguire un ordine logico del nostro discorso, sarebbe lecito spiegare innanzitutto l’etimologia del termine ‘poesia’. Esso deriva dal verbo greco pοιείν (poiein) che significa: fare, creare, produrre. Alcuni studiosi indicano all’origine dell’etimo greco la radice sanscrita ‘PU’ che allude all’atto del generale punto il significato moderno del termine elude parzialmente tale etimologia per indicare piuttosto un genere letterario specifico. La poesia di cui però oggi vorrei parlare non è semplicemente una forma, anche se ovviamente ha una forma, ma esprime una essenza che coincide pienamente con quella dell’uomo. In origine la poesia, intesa come creazione, è indissolubilmente legata all’idea di ‘ispirazione divina’ poiché il poeta è colui che crea solo dopo essere stato ispirato dalle Muse che generano in lui uno stato di straniamento e di oblio.

Dunque, come affermato Montale, potremmo dire che la poesia è nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale al ritmo martellante delle musiche già esistenti, e solo in seguito alla nascita della scrittura, poesia e musica si sono differenziate. In riferimento alla nostra cultura occidentale, i versi cantati dagli aedi cominciano ad essere messi per iscritto in Grecia intorno al VIII secolo a.C. L’accompagnamento musicale della poesia si è manifestato fondamentale anche in altre epoche come ad esempio nella poesia provenzale e trobadorica in età medievale.  Il linguista Jacobson ha definito ‘funzione poetica’ quella per la quale le parole hanno valore non tanto in riferimento ai contenuti che esprimono, quanto piuttosto per l’armonia ed il suono che evocano nel momento in cui si incontrano. Per realizzare tutto ciò il poeta fa ricorso a regole ben definite di misura, ritmo, simmetria, che danno alle parole un significato nuovo, realizzando una sinergia profonda tra significante e significato, ossia tra forma e contenuto.

Ma attualmente è lecito assegnare ancora un valore assoluto alla poesia? Certamente sì. Viviamo in un contesto in cui sussistono nuove modalità di comunicazione che, contrariamente a quanto spesso si pensa, non negano l’uso delle parole ma ne sublimano il loro abuso. Si assiste infatti al dilagare di una volontà d’espressione che sconfina spesso in nullità comunicativa; la poesia non è tutto ciò, poiché essa non è semplice esercizio linguistico, ma incontro straordinario di parole, è ‘evento di parole’. È la parola che sulla sua atemporalità può attraversare tutti i luoghi, per raccontare l’uomo nella sua gioia e nella sua disperazione. Le poesie possono essere più o meno belle, ma non è la collocazione temporale che ne decreta la loro evoluzione. Le parole, quelle vere, quelle dell’anima, non hanno tempo, hanno solo il senso della memoria e del viaggio. È grazie alla sua forza evocativa che la poesia parla al lettore di ogni tempo ed in ogni spazio. Ed è proprio questo atemporale valore comunicativo che dà alla poesia la sua inequivocabile magia. 

 

 

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere iddio
ma i poeti nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

 

Alda Merini, I poeti lavorano di notte

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