Bach – Variazioni Goldberg
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Bach – Variazioni Goldberg

La discoteca ideale

di Cosimo Cannalire

 

Oggetto di culto e di mito – basti pensare a Gould, Glenn Gould, che risuona quasi come Bond, James Bond… – rappresentano in primis uno dei capolavori musicali legati ad un tema di variazioni sonore di tutti i tempi.

Nascono in modo assai occasionale per curare un’insonnia regale con un tema allo stesso tempo delicato e gioioso.

Bach struttura l’opera in forma di trenta variazioni inizializzate da un’aria che chiude anche l’opera in un’economia circolare sonora che alla fine ipnotizza.

Bach non ha poi composto altre variazioni, ma tanto ci basta.

L’opera nasce per clavicembalo, ma ovviamente il pianoforte ne accentua il colore, permette nuances sonore più estese e ne amplifica il fascino.

Ho già citato Gould, che incide il pezzo su pianoforte in tempi diversi della sua vita (1955 – esordio scioccante – e 1981) e spesso, come da sua abitudine, accompagna sonoramente con mugolii ed altro l’esecuzione.

Questo accompagnamento irrituale, al di là dell’eccentricità del pianista, evidenzia come lui vivesse in un universo sonoro tutto suo e come per lui tutto, anche un rumore, fosse alla fine riconducibile a musica.

Di Gould si ricorda la collezione impressionante di medicine che assimilava (non avrebbe mai superato un controllo antidoping pianistico…) ed il fatto, significativo tra tanti altri, che sulla luna tra gli oggetti deputati a certificare l’ingegno umano si fosse alla fine deciso di mandare proprio un suo disco di Bach.

Esecuzione quindi mitica, soprattutto nella versione meno mercuriale e più crepuscolare del 1981 (ripeness is all…).

Certamen di ogni pianista si trova di tutto e di più tra le esecuzioni a disposizione: versioni ‘originali’ su clavicembalo (Gilbert, Staier, ma soprattutto Hantai), colore ed armonia (Hewitt), raziocinio ed architettura sonora (Schiff), ma forse chi raggiunge l’equilibrio perfetto è Perhaia.

Nella sua versione troviamo infatti un blend di colore, virtuosismo e passione, legati da una maniera di suonare il pianoforte tipica degli anni ‘80, dove essenzialità ed eufonia riuscivano a coesistere.

A differenza di Gould (che certamente lascia un’esecuzione di carattere, ma spesso proprio per questo risulta invasivo nell’interpretazione dello spartito), Perhaia non usa manierismi, evita personalistici orpelli e lascia fluire la musica originando alla fine una sonorità così naturale da creare l’impressione che il pezzo non potesse che essere eseguito in quel modo.

Con la coscienza della ragione il pianista combina controllo e ritmo nonchè intelletto ed emozione, lasciando l’impressione di un pianismo allo stesso tempo antico e contemporaneo e trasportando il pezzo al di là del lasso temporale e della temperie musicale che l’aveva originato.

E’ facile suonare qualsiasi strumento musicale:
tutto ciò che devi fare è toccare il tasto giusto
al momento giusto e lo strumento suonerà da sé.


Johann Sebastian Bach

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