L'uomo in gabardine
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L’uomo in gabardine

di Emilio Merletti

Quando frequentavo la Clinica di Malattie Tropicali e Infettive dell’Università di Roma, una volta l’Esimio Professor Franco Sorice, che era in quegli anni il direttore dell’Istituto, tenne una Lectio Magistralis sulle diarree e loro diagnosi differenziale, concludendo il suo excursus press’a poco con queste parole:

…ed infine, se un paziente si presenta nel vostro studio per altri motivi e subito, con grande ansia, vi chiede prima di tutto di tranquillizzarlo rivelandogli l’ubicazione del bagno, probabilmente si tratta di un paziente affetto da diarrea psicogena!

Raccontavo questo lontano, curioso aneddoto dei miei anni universitari ad un giovane collega, quando improvvisamente mi ricordai di un altro episodio, che forse poteva rappresentare, magari occasionalmente, l’esempio pratico di quella categoria nosologica…

Era un tranquillo pomeriggio d’estate. Afoso e silenzioso. La ‘controra’.

La casa che avevo temporaneamente  preso in affitto era appena fuori il paese, sulla via provinciale che conduceva al borgo antico, nel quale avevo aperto da poco tempo il mio piccolo ambulatorio.

Appoggiato al davanzale di una finestra con le persiane appena socchiuse, me ne stavo lì a meditare sui massimi sistemi, fumando lentamente una sigaretta, dal momento che a quel tempo appartenevo ancora alla – ahimè – allora nutrita schiera di medici-fumatori.

Ad un tratto…si presentò ai miei occhi una scena che mi lasciò allibito.

La corriera, che tutti i giorni saliva ansimando verso il paese, come di consueto fece sotto casa mia la sua fermata regolamentare e quindi, dopo la brevissima sosta, ripartì, rivelando in mezzo alla strada un viaggiatore solitario appena disceso: un giovane uomo, sui trent’anni, elegantemente vestito di un completo di gabardine beige, disorientato ed ansioso. Lo vidi  guardarsi disperatamente a destra e a manca e poi, con l’agilità di un capriolo, saltare il basso muretto, poco più di un cordolo, che separava la strada da un terrapieno di pochi metri, senza ripari possibili, e con la velocità del fulmine, slacciare la cintura, sbottonare la patta e accovacciarsi…

Lì, a brache calate, si copriva il viso con le mani, per nascondersi come fanno gli struzzi, o almeno per mitigare la vergogna di essere esposto, così collocato, al pubblico ludibrio degli occupanti le  varie automobili che transitavano di tanto in tanto sulla strada.

Finita, almeno temporaneamente, quella sua prepotente impellenza, cercò come poteva di fare pulizia, servendosi delle pagine del quotidiano che aveva con sé. Si ricompose. Recuperò un pacchetto infiocchettato che sapeva di pasticceria, poggiato in terra vicino al luogo del…misfatto, e si incamminò verso il paese, senza accorgersi – o forse sospettandolo, perché procedeva prudentemente rasente al muro – che i pantaloni del suo impeccabile vestito portavano chiarissimi i segni della… precipitosa approssimazione con la quale erano stati fatti discendere!

In un attimo immaginai tutto il suo dramma: invitato in paese per chissà quale incontro ‘ufficiale’ – un fidanzamento? Un colloquio con un superiore? – avrà avuto le prime avvisaglie della calamità che doveva colpirlo, appena partito l’autobus.  Chissà quali angosce, mentre la corriera saliva arrancando sempre più lentamente verso la meta! “Forse ora mi passa!…” avrà sperato, o “…Forse ce la faccio a resistere ancora un po’… in fondo il viaggio dura  poche decine di minuti!… Non appena arrivato chiedo ai miei ospiti, con naturalezza, di usare il bagno e…” Ma le ondate peristaltiche si susseguono come in una tempesta infernale, conseguenza e causa dell’ansia che imperla di sudore freddo la fronte. Man mano diventano marosi travolgenti, sempre più frequenti, sempre più violenti, sempre più insopportabili! Sempre più invincibili.

Poi la resa incondizionata. La disfatta. Ad appena un passo dalla salvezza.

Una donna, spalancate le persiane, se ne uscì con un cordiale: «Salve! Serve aiuto? Benvenuto in paese! Porta le paste alla famiglia (…) ? Che bel pensiero!»

Lui la guardò con occhi stravolti, e non rispose.

 

Contro la diarrea non c’è che aspettare.
Ad un certo punto il tempo… stringe.


Giampiero Casoni

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