Il dottor Navarro
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Il dott. Joaquín Navarro-Valls

Medici … per altro famosi

di Marco Semprini

In una delle rarissime interviste rilasciate al settimanale L’Espresso, alla domanda se avesse paura di invecchiare e morire rispose fermamente di no, ricordando la frase del suo connazionale Seneca prossimo al trapasso – «La morte mi sta suggerendo che io posso approfittare di lei anche quando ho cinque anni. Se la terrò presente vivrò la mia vita pienamente, se accetterò i dati truccati di una cultura che la vuole nascondere, morirò senza avere mai vissuto veramente». E sicuramente quella di Joaquín Navarro-Valls è stata una vita intensamente vissuta, nel corso della quale ha conosciuto i più influenti personaggi del mondo, visitato 160 Paesi – viaggiando così tanto da coprire l’intera distanza tra la Terra e la Luna! – e rivoluzionato il modo di comunicare. Elegante, sportivo, colto, sempre disponibile e gentile con tutti, alle sue origini spagnole è sempre stata collegata una specie di leggenda, che da giovane avesse fatto anche il torero. Fatto che, anche se coraggio ed entusiasmo non gli sono mai mancati, non era assolutamente vero; ma lui lasciava dire, ci scherzava sopra, consapevole che questo particolare gli avrebbe aumentato il già non indifferente fascino.

Nato a Cartagena il 16 novembre del 1936 da un affermato avvocato e da un amorevole mamma, Conchita Valls, dedita a tempo pieno ai suoi cinque figli, si distingue da subito per intelligenza e brillantezza in ambito scolastico e, finito il liceo classico nella ‘Deutsche Schüle’ della sua città, si iscrive alla facoltà di Medicina a Granada. Tre anni dopo si trasferisce all’università di Barcellona dove pubblica il suo primo lavoro di ricerca sulla rivista scientifica Actualidad Medica. Nel 1960 conosce Padre Josemaría Escrivá de Balaguer e aderisce come membro numerario all’opera da lui fondata, l’Opus Dei, fatto che condizionerà in modo determinante la sua vita.

L’anno successivo si laurea in Medicina per poi specializzarsi prima in Medicina Interna e poi in Psichiatria, ottenendo nel frattempo una borsa di studio ad Harvard. Mentre esercita la professione in ospedale prende altre due lauree, in Giornalismo nel 1968, e in Scienze della comunicazione nel 1980. Durante questo periodo pubblica il suo primo saggio non medico: La manipulación publicitaria. Nel 1970 si trasferisce a Roma, momento fondamentale per il suo futuro, dove approfondisce gli studi psichiatrici e vive nella grande famiglia dell’Opus Dei accanto al suo padre spirituale Josemaría Escrivá, che accompagnerà fino alla morte avvenuta nel giugno del 1975. Inizia quindi la sua carriera di giornalista divenendo nel 1977 corrispondente per l’Italia e il Mediterraneo orientale del quotidiano di Madrid ABC e nel 1983 viene eletto Presidente dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, carica confermata l’anno successivo. E proprio nel 1984 avviene la svolta che cambierà definitivamente il corso della sua vita: Giovanni Paolo II lo chiama a riorganizzare e dirigere la Sala Stampa Vaticana.

Da medico a portavoce del Papa, un percorso davvero singolare, ma in fondo lui stesso raccontava che da ragazzo, quando studiava medicina, non aveva assolutamente idea di quello che poi avrebbe fatto nella vita: «Ho avuto spesso la sensazione di non avere scelto io gli itinerari e le opzioni», ricordava spesso. Forse è riduttivo definirlo solo un portavoce, perché il dott. Navarro è stato molto di più: Giovanni Paolo II si affidò completamente a questo professionista, lasciandogli anche una autonomia fino a quel momento mai sperimentata per un laico. Wojtyła non solo gli voleva bene ma si confrontava spesso con lui, incontrandolo quasi tutti i giorni, e questo è stato uno dei punti di forza del portavoce vaticano.

 

Nessuno come Joaquin sapeva interpretarne la direzione di marcia, intuirne gli effetti, pararne i colpi: per questo capitava spesso che il Papa polacco gli affidasse lavori extra, anche se esulavano dal suo ruolo. Per esempio il viaggio papale a Cuba: fu Joaquin a prepararlo e a farne uno dei più grandi capolavori diplomatici di tutti i tempi. Ricordava divertito quei momenti storici con un misto di soddisfazione e di incredulità. Fidel Castro lo invitò a una cena all’Avana e poi tutto avvenne nella conversazione successiva durata cinque ore. «Eravamo soli, io e lui. Ho conosciuto una persona attenta, intellettualmente curiosa, con cui si poteva perfino scherzare, una volta superata la sua barriera, la sua armatura di grande dittatore». Mentre fumavano sigari cubani e bevevano rum, Joaquin e Castro si intendevano su quella che sarebbe poi diventata la grande vittoria di Giovanni Paolo II, la visita nell’ultima roccaforte comunista dove era vietato persino festeggiare il Natale. Intrattenne rapporti con molti altri importanti personaggi, come il presidente degli Stati Uniti d’America e quello russo Gorbaciov, ma la persona che amava di più, che aveva incontrato diverse volte e per la quale aveva un vero e proprio debole era Madre Teresa di Calcutta: «Aveva un sorriso ironico e innocente. Nel suo viso anziano e rugoso, c’erano occhi da bambina. Era stupenda, come tutti i santi» soleva dire di lei.

 

L’ex portavoce del papa ha gestito, durante i suoi 22 anni di carriera in Vaticano, importanti momenti, a cominciare dalla malattia di Giovanni Paolo II, le diverse operazioni subite al Gemelli, fino alla morte del Pontefice. Da ex giornalista conosceva bene i segreti del mestiere, così come sapeva muoversi negli ambienti ecclesiastici. La comunicazione del Vaticano grazie a lui è stata amplificata, studiata e resa globale: resta famoso il suo motto «Se non hai nulla da comunicare il tuo dire diventa una ripetizione di formule». Ha sempre pensato che l’efficacia comunicativa dipendesse più da quanto il Papa poteva dire ai fedeli, affacciandosi alla finestra dello studio per l’Angelus, che come lo diceva, anche se ambedue gli aspetti dovevano essere tenuti assieme. Custodiva informazioni con assoluta discrezione, altre le metteva a disposizione secondo una regia ben studiata. I momenti complicati sono stati tanti, dall’inizio dello scandalo della pedofilia nel 2001 – che iniziava a estendersi negli Usa per via dei rimborsi alle vittime – al delitto mai del tutto chiarito del doppio omicidio suicidio all’interno della Guardia Svizzera, cavandosela però sempre brillantemente. Non sono mancate neanche le gaffe, come la volta che inventò un incontro mai avvenuto tra Wojtyla e il Premio Nobel per la pace Rigoberta Menchù – smascherato solo perché una giornalista del volo papale gli chiese come era vestita – o l’invettiva contro George W. Bush sfuggitagli durante una cena con gli industriali del Veneto e riportata puntualmente sui giornali il giorno seguente. Aveva sempre la battuta pronta: «Il miglior testimone di quanto Giovanni Paolo II stava dicendo era lui stesso, le strategie di comunicazione non servivano, né le apparenze. Eravamo consapevoli che non si trattava di una tecnica, ma di una testimonianza». Più volte membro della delegazione della Santa Sede alle conferenze internazionali dell’ONU su temi di importanza decisiva per la Chiesa cattolica come famiglia, matrimonio, sviluppo sociale – mai un laico aveva coperto il ruolo di capo delegazione pontificia – è stato anche Visiting Professor presso alla Facoltà di comunicazione istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce di Roma. Con l’elezione del cardinale Joseph Ratzinger e l’approvazione del nuovo pontefice, Navarro Valls ha continuato il suo lavoro per un altro anno, dopo il quale ha chiesto a Benedetto XVI di essere sollevato dal suo incarico, motivando la rinuncia con il desiderio di tornare ad occuparsi del suo primo amore, la Medicina. La sua morte, avvenuta il 5 luglio di questo 2017, non è stata cosa improvvisa; il brutto male lo aveva minato irreversibilmente da tempo, ma lui non voleva che se ne parlasse. Il più grande portavoce e comunicatore che i Papi abbiano mai avuto, aveva scelto di non comunicare a nessuno la sua imminente fine, lasciando che il silenzio avvolgesse questi ultimi mesi, circondato dall’affetto della sua famiglia d’adozione, l’Opus Dei.

Sulla carta il ruolo di Navarro era quello di Direttore della Sala stampa vaticana, ma in realtà fu un vero e proprio portavoce, un autentico ‘frontman’, l’unico finora nella storia dei pontefici. Si può dire che ha cambiato lo stile comunicativo del pontificato, andando spesso per la sua strada, forte dell’appoggio incondizionato del Papa, contribuendo ad orientare quel pontificato lungo e complesso. Qualche volta enfatizzava, altre volte dissimulava, qualche volta privilegiava una testata a metteva in fondo alla fila altre, secondo un piano preciso che aveva in testa, preoccupato del risultato. Un vero e proprio stratega, l’artefice di quella rivoluzione comunicativa del papato che ancora oggi Francesco – con difficoltà – cerca di portare avanti. Medico per altro famoso…forse più di ogni altro.

Sappiamo tutto sull’essere umano, sui processi biochimici

e la biomeccanica del suo
organismo, ma non sappiamo ancora ‘chi’ è l’uomo.


Joaquín Navarro-Vallsalls

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