Natale e Capodanno in montagna
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Natale e Capodanno in montagna

Salute & sport

di Nicola Iacovone

 

 

ADATTAMENTI INDOTTI DALLA PRATICA SPORTIVA

IN ALTITUDINE E PATOLOGIE DA FREDDO

Negli ultimi anni il maggior benessere economico e l’interesse sempre più crescente dei mass media nei confronti della montagna ha permesso, negli sportivi, una progressiva crescita di interesse verso la pratica di sport in quota.

L’incremento delle manifestazioni sportivo-turistiche in altitudine, le particolari condizioni ambientali per la ricerca di nuovi record ed il miglioramento della tecnologia nell’abbigliamento e nei materiali sportivi, hanno ulteriormente incrementato tale fenomeno.

Motivo per cui, l’interesse della medicina dello sport nei confronti della pratica sportiva in quota, è uno dei settori di applicazione per ricerche e studi.

CARATTARISTICHE FISICHE DELL’ARIA E PROPRIETA’ DELL’ALTITUDINE

L’aria, per la forza di attrazione terrestre, esercita a livello della terra una forza chiamata “pressione atmosferica”, che a livello del mare equivale a 760 mmHg (millimetri di mercurio).

Tale valore decresce con l’aumentare dell’altitudine: a 1500 metri di altitudine essa è di 630 mmHg, a 3000 m. è di 525 mmHg, a 5000 m. è di 405 mmHg e a 8500 m. è di 248 mmHg.

L’aria è una miscela di gas presenti in rapporto costante e contiene mediamente circa 1% di vapor acqueo. Crescendo l’altitudine, di conseguenza, diminuiranno anche le pressioni parziali dei gas che costituiscono l’aria.

Considerando che l’ossigeno (O2) è presente per il 21%, ne deriva che a livello del mare la pressione parziale dell’O2 è di 159 mmHg, a 1500 m. è di 135 mmHg, a 5000 m. è di 85 mmHg e a 8500 m. è di 52 mmHg.

Anche la densità dell’aria (quindi la resistenza offerta da essa) ha un andamento decrescente con l’aumentare dell’altitudine. Infatti, a livello della superficie terrestre, essendo l’aria un gas comprimibile, vi sono un maggior numero di molecole dei singoli gas per unità di volume.

Stesso andamento ha il contenuto di vapor acqueo (grado di umidità), per cui salendo di quota l’aria diviene più secca e come conseguenza, avremo una maggiore perdita di liquidi dall’organismo attraverso le vie respiratorie.

Anche la temperatura dell’aria subisce modificazioni decrementali con l’altitudine (generalmente diminuisce di 0,65 C° ogni 100 m. verticali), anche se tali oscillazioni variano da luogo a luogo e nei vari periodi dell’anno.

Invece la viscosità dinamica (resistenza generata dall’aria in movimento) e la viscosità cinematica (viscosità dinamica / densità dell’aria) aumentano in altitudine creando ripercussioni negative sulla meccanica respiratoria.

Non ultimo ricordiamo le radiazioni elettromagnetiche presenti in grandi quantità nelle quote più alte perché amplificate dalla riflessione della neve (a livello del mare sono inferiori per l’azione di filtro offerta dall’atmosfera e dal vapor acqueo)

Inoltre, la forza di gravità (risultante tra gravitazione terrestre e forza centrifuga) tende a diminuire con l’altitudine, infatti ogni 300 m. di dislivello si osserva una diminuzione del peso corporeo pari allo 0,1 per mille (per aumento della distanza dal centro della terra).

Già da queste prime considerazioni, si può cogliere l’importanza dell’altitudine nell’influenzare positivamente la pratica di alcuni sport (lanci, salti, velocità, ecc.) e negativamente la performance in altri (sport di resistenza), per la minore pressione parziale di ossigeno e, conseguentemente, per il minore VO2 max (massimo consumo di ossigeno): ad esempio, sulla sommità del Monta Bianco (4810 mt.), un qualsiasi individuo possiede circa il 70% delle proprie capacità fisiche rispetto al livello del mare e sul Monte Everest (8848 mt.) circa il 20% di esse. 

ADATTAMENTI ORGANICI

L’esposizione di un organismo all’ipossia (diminuzione di O2 che si verifica in altitudine) comporta un immediato aumento del numero dei globuli rossi (GR), della concentrazione di emoglobina (HB) e dell’ematocrito (HT), in stretta correlazione con la durata e l’entità dell’esposizione alla quota.

Ciò è determinato da una immediata mobilizzazione dei GR dalla milza, dalla riduzione del volume plasmatico (la diminuzione della pressione igrometrica in altura, associata alla iperventilazione da ipossia, provocano disidratazione) e dall’aumentata increzione di Eritropoietina renale (stimola la produzione dei GR da parte del midollo osseo).

Tali adattamenti determinano una maggiore concentrazione di emoglobina con conseguente aumento del trasporto di O2 nel circolo sanguigno al fine di compensare la riduzione della saturazione della emoglobina stessa (minor O2 è legato all’emoglobina).

La poliglobulia (aumento dei GR) con conseguente aumento della viscosità ematica, potrebbe in alcuni casi provocare aumento del lavoro cardiaco ed ipercoagulabilità con possibile comparsa di fenomeni trombotici.

Altri fenomeni adattativi importanti, che richiedono più tempo per attuarsi, sono: l’aumento del numero dei capillari che avvolgono la fibra muscolare; una maggiore densità dei mitocondri e della mioglobina all’interno della fibra muscolare stessa; aumento di alcuni enzimi della catena di demolizione del glucosio a piruvato e soprattutto degli enzimi mitocondriali che promuovono l’ossidazione dell’acetato ad anidride carbonica (enzimi deputati alla produzione di energia).

Più volte è stato osservato, per cause poco chiare, un deterioramento muscolare con associato indebolimento funzionale (destrutturazione muscolare).

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MANIFESTAZIONI PATOLOGICHE DA QUOTA

Si possono verificare in seguito all’inadeguato e incompleto adattamento alle alte quote da parte di soggetti non allenati o impreparati tecnicamente (pause di 2-3 giorni ad ogni determinata altezza permettono l’acclimatamento). La gravità dei sintomi cresce con l’aumentare della velocità di ascesa in quota, dall’altezza raggiunta e dallo sforzo fisico necessario:

Mal di montagna acuto:

E’ una forma benigna di cui i più comuni sintomi sono: emicrania o cefalea, nausea, vomito, instabilità durante la marcia, letargia e sonno disturbato. A volte si associa emorragia retinica che, se estesa al disco ottico, provoca offuscamento della vista, altrimenti è asintomatica. La gravità del mal di montagna non si associa alla forma fisica, al sesso o all’età, ma è una variabile della suscettibilità individuale. In alcuni soggetti, superati i 4000 m. di altezza, si può passare alla forma maligna, potenzialmente fatale, caratterizzata da importanti alterazioni dei fluidi a livello cerebrale e polmonare, mediati dall’aumento della permeabilità e della pressione idrostatica dei capillari (edema interstiziale).

Edema polmonare da alta quota:

 E’ la più comune delle forme maligne. I tipici sintomi sono: tosse con escreato schiumoso, respiro parossistico che si risolve parzialmente in ortostatismo e crepitii polmonari.

Edema cerebrale da alta quota:

Causa disturbi della sfera mentale quali: forte cefalea, atassia, sonnolenza, incoscienza e coma.

Patologia da irraggiamento:

Caratterizzata da importanti alterazioni trofiche della pelle e da disturbi oculari quali la cherato-congiuntivite attinica (lacrimazione, fotofobia e sensazione di corpo estraneo) per cui è fondamentale l’utilizzo di idonei occhiali da sole.

CONSIGLI PRATICI SULL’ALLENAMENTO IN QUOTA

Vari allenatori e preparatori atletici si sono espressi positivamente sui benefici apportati dalla pratica sportiva in quota, anche se per brevi periodi.

Tale pratica ha come naturale conseguenza: l’innalzamento della capacità aerobica, il miglioramento della performance aerobica tornando a livello del mare, il recupero fisico immediato dopo una serie di gare, pratica necessaria affinchè si possa gareggiare in altura.

L’opinione più diffusa è che, l’altitudine ideale per ottenere i migliori benefici, è quella compresa tra 2000-2200 m. sopra il livello del mare.

Ogni periodo di allenamento dovrebbe avere la durata di tre settimane e deve essere praticato due volte l’anno (inverno e primavera). Superate le tre settimane si segnalano manifestazioni di affaticamento.

Tra un periodo e l’altro devono trascorrere almeno sette settimane ed il secondo periodo deve essere associato all’evento agonistico principale della stagione estiva.

Durante il periodo di allenamento in quota, è utile reintegrare i liquidi persi con quantitativi extra di almeno 1-2 litri al giorno di acqua con sali minerali (per la secchezza dell’aria).

Nel primo periodo dell’acclimatazione, eventi rari, ma possibili nel presentarsi, sono: disturbi dell’addormentamento, emicrania, epistassi, a volte nausea. In questi casi, del tutto normali, la sintomatologia si può attenuare con un breve periodo di riposo immediatamente dopo il pranzo e

nel far praticare agli atleti sessioni di lavoro che non prevedano alti volumi o elevata intensità dell’allenamento.

Durante la prima settimana in quota, spesso si può osservare un aumento della frequenza cardiaca a riposo superiore al 10% (elevati livelli di catecolamine nel plasma), associata ad una diminuzione della frequenza cardiaca massimale del 10% (“down-regulation” dei recettori adrenergici cardiaci), rispetto ai valori rilevati a livello del mare. Successivamente tale fenomeno tende a scomparire ed è un valido indicatore dell’avvenuto adattamento all’altitudine (acclimatazione).

Le zone d’altura hanno aspetti differenti al variare della latitudine:

Alpi (4.000 mt.): presenza di neve, ghiaccio e roccia,

Ande (4.000 mt.): presenza di Città,

Himalaia (4.000 mt.): presenza di foreste e villaggi.

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LE IPOTERMIE

Sono patologie relativamente frequenti nelle regioni nordiche e nei praticanti determinate attività sportive considerate a rischio: in montagna nel periodo invernale (sci alpino, nordico, escursionistico, alpinismo. ecc.) e nelle immersioni subacquee in località fredde.

Da un punto di vista fisiopatologico nelle prime fasi in cui l’organismo è esposto al freddo (temperatura centrale corporea nell’intervallo compreso tra 35 e 32 gradi centigradi), si verificano una serie di meccanismi a controllo ipotalamico mediati da un iniziale aumento del consumo di ossigeno. Per cui si osserva: stimolazione del tono simpatico accompagnato da tachicardia, tachipnea, ipertensione arteriosa, vasocostrizione cutanea (pallore) e forti brividi. Il tutto affinché venga mantenuta l’omeostasi termica (ricordiamo che la temperatura centrale è di 37 gradi). Successivamente, qualora l’esposizione alle basse temperature dovesse continuare (temperatura centrale compresa tra 32 e 28 gradi), tutti i meccanismi di produzione di calore interno si esauriscono e compaiono bradiaritmie, bradipnea con broncorrea, rigidità muscolare con scomparsa dei brividi, sonnolenza e confusione mentale.

A questo punto, in alcuni casi, si può osservare il fenomeno del “paradoxal undressing” in cui il paziente, in stato soporoso, riferisce  benessere per la riperfusione cutanea da vasoplegia, conseguente alla vasocostrizione che si era verificata nelle fasi iniziali.Nella fase finale di grave ipotermia (temperatura interna inferiore a 28 gradi), il paziente si presenta privo dello stato di coscienza, areflessico, con attività vitali impercettibili (marcata bradicardia e bradipnea) fino a raggiungere lo stato di morte apparente: midriasi areflessica, flaccidità muscolare, arresto cardio-circolatorio, cute e mucose rosee.

A tal punto, nonostante che la temperatura centrale possa scendere a 20 gradi, il paziente, in stato di morte apparente, può essere ancora rianimato. Nella progressiva ipotermia, il raggiungimento dell’equilibrio tra l’apporto ed il consumo di ossigeno a livello tissutale, permette che l’arresto funzionale delle attività cellulari avvenga in uno stato di “alta energia” in cui sono conservati i composti fosforilati contenuti nel citoplasma cellulare senza attivazione della glicolisi anaerobica. Tale fenomeno non avviene nella ipossia di qualsiasi natura essa sia, infatti le tecniche rianimatorie sono efficaci, in questo caso, solo se iniziate entro pochi minuti dall’evento scatenante.

TRATTAMENTO

Nelle ipotermie lievi il trattamento consiste nell’allontanare il paziente dal freddo, stimolargli movimenti attivi, somministrargli bevande calde non alcoliche, impacchi caldi al torace e controllare eventuali congelamenti alle estremità.

Nelle ipotermie moderate o gravi dove spesso il paziente si presenta soporoso, con attività cardiorespiratoria rallentata, tendenza alle aritmie e muscolatura rigida, è necessario togliere gli eventuali indumenti bagnati e metterlo in coperte termiche badando di coprire accuratamente il torace, collo e testa. Non somministrare bevande calde e non provocare movimenti attivi o passivi per il pericolo di indurre il fenomeno dell’“after drop” (il rimescolamento del sangue periferico freddo con quello più caldo interno, a livello toraco-celebrale, può provocare rapida caduta della temperatura centrale con innesco di minacciose tachiaritmie cardiache che possono condurre a morte).

Solo successivamente possono essere stimolati i movimenti attivi. Qualora il paziente venga ritrovato in stato di incoscienza, andrebbe intubato e ventilato ed in caso di asistolia, praticato il massaggio cardiaco (trasferimento rapido in ospedale tramite elicottero dove l’eventuale defribrillazione e la somministrazione di farmaci è monitorizzata).

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CONGELAMENTO

Colpisce elettivamente le estremità degli arti, viso, naso e orecchie.

Il primo grado è caratterizzato da rossore, dolore ed eventuale pallore che recede con il riscaldamento esterno.

Nel secondo grado la cute si presenta pallida, il sottocute rigido e la zona interessata è analgesica. Può evolvere verso la necrosi, altrimenti può rimanere per lungo tempo parestesica, iperidrosica e più sensibile al freddo.

Nel terzo grado la cute è cianotica e si associa a delle flittene (vesciche a contenuto liquido sieroso o sieroemorragico), inoltre vi è necrosi tissutale. Tale stadio è irreversibile e conduce alla demarcazione e autoamputazione spontanea.

Istopatologicamente si verifica edema dermico, trombosi vascolare e lesione delle fibre nervose.

Il primo trattamento consiste nell’immergere la parte interessata in acqua calda a 40 gradi, per venti minuti ogni volta, preservarla da ogni piccolo trauma e proteggerla in asepsi fino alla eventuale autoamputazione. A volte possono essere utili farmaci anticoagulanti e vasodilatatori.

ALTRE PATOLOGIE DA FREDDO

Geloni

Colpiscono elettivamente i bambini, gli adolescenti e le donne ai primi freddi invernali. Tale patologia riconosce una predisposizione familiare ed è favorita dall’acrocianosi e dall’uso di indumenti protettivamente inadeguati.

Si localizzano alle mani, piedi, calcagno, naso, orecchie, ginocchia e glutei.

La lesione è caratterizzata da una macula rosso vivo che si infiltra progressivamente fino alla formazione di tumefazioni violacee lisce, pruriginose e dolorose che possono ulcerarsi. In 2-3 settimane si riassorbono ma possono recidivare durante la stagione invernale. Dopo alcuni anni può sopraggiungere la guarigione. Il trattamento è la prevenzione con idonei indumenti.

Acrocianosi

Colorazione blu-violacea delle estremità, permanente ed indolore (mani, caviglie, piedi), che scompare alla vitropressione, si accompagna ad iperidrosi, cheratosi pilare ed infiltrazione pastosa delle estremità.

Predilige le ragazze giovani alla pubertà. Il colorito vira al rosso in caso di esposizione al freddo.

L’evoluzione è cronica ed alcuni soggetti presentano la tendenza a sviluppare geloni.

La causa dipenderebbe dalla dilatazione del versante venoso delle anse capillari.

Unica terapia è l’abbigliamento adeguato e l’uso di sostanze grasse.

-Livedo reticolare

Cianosi reticolare violacea cutanea disposta come una rete a maglie disegnante i drenaggi venosi superficiali. Si localizza alle cosce, glutei, braccia ed avambracci e in alcuni casi sul viso dei bambini (cutis marmorata).

Si manifesta in età adulta subito dopo l’esposizione al freddo o in ortostatismo. Scompare con il calore o l’innalzamento degli arti. Non richiede altro trattamento che la protezione dal freddo.

-Sindrome di Raynaud

Frequente nelle donne, è scatenata dal freddo. E’ un disturbo parossistico, vasomotorio, ischemico delle estremità.

Vi è una prima fase sincopale con pallore cereo delle dita, le quali appaiono fredde ed insensibili. Dopo alcuni minuti si verifica la fase asfittica con cianosi dolorosa delle dita.

La forma “idiopatica” è caratterizzata dalla precoce età di insorgenza, la familiarità positiva, l’assenza di disturbi trofici, i polsi normali, l’interessamento bilaterale e simmetrico.

-Orticaria da freddo

Si manifesta nel punto dì applicazione del freddo, ad esempio sul viso e le mani esposte al vento. Possono essere colpite anche le mucose ed avere reazioni generali fino allo shock anafilattico.

Compare soprattutto nei giovani adulti e si associa frequentemente ad altre forme di orticaria (fisica, da contatto o comune).

La patogenesi è poco conosciuta, talora immunitaria e vede l’intervento dei mediatori dell’orticaria comune (soprattutto istamina). La diagnosi viene posta per mezzo di un cubetto di ghiaccio da applicare sulla cute per circa 20 minuti.

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