Junk food
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Junk food (I)

di Dario Alario, Giorgio Bracaglia, Simona Guglielmi

(prima parte)

Pediatri, genitori, insegnanti: è nostro dovere parlarne ed agire!

Storia ed arte

Nell’antica Grecia vigeva la moderazione e si riteneva che il momento del pasto fosse occasione di nutrimento non solo del corpo ma anche dello spirito; nell’antica Roma fecero capolino i primi rudimentali trattati di dietologia perché ci si rese conto che gli eccessi alimentari erano fonte di un gran numero di malattie. Rimangono famosi i banchetti di età imperiale, ad esempio quelli di Lucullo, nei quali venivano servite più di cento portate. Non possiamo ignorare che la raffigurazione più antica della forma umanaJunk food, la Venere di Willendorf (30.000-20.000 a.C.), conservata al Museo di storia Naturale di Vienna, è la statua di una donna obesa, con grosse mammelle e un addome enorme, anche se questo aspetto al tempo era chiaramente legato al concetto di fecondità, di fertilità femminile e di nutrimento di vita. L’immagine di un obeso, sia adulto o bambino, non è una raffigurazione facilmente riscontrabile nella storia dell’arte; più spesso viene messo in evidenza il problema della fame, della povertà, della carestia e la condizione umana che ne consegue. Nel Medioevo il vizio della gola era considerato uno dei 7 peccati capitali, quindi da aborrire, ma nel contempo la corpulenza e il grasso, identificati con la carne, proponevano un esempio di benessere e felicità. La grassezza o l’obesità hanno sempre portato con sé significati opposti: da una parte quello del potere, della ricchezza, associato a volte all’ingordigia e all’avidità, e dall’altra quello dell’allegria, della convivialità, dei piaceri carnali, con evidenti connotazioni grottesche. Nella tradizione celtica e germanica la figura del ‘gran mangiatore’ era un personaggio positivo che, proprio mangiando e bevendo molto, esprimeva la sua superiorità; infatti l’eroe della mitologia germanica e dei poemi cavallereschi è ingordo ed insaziabile. Per alcune popolazioni antiche dell’Africa era consuetudine mandare in ‘case di ingrasso’ le ragazze arrivate alla pubertà in modo da prepararle al matrimonio. Situazione inversa si aveva invece in alcune antiche civiltà occidentali come quella greca e romana, che preferivano una linea snella e vigorosa. I giovani spartani venivano ispezionati nudi una volta al mese e chi fosse aumentato di peso era costretto a dedicarsi ad esercizi fisici per non ingrassare. Si passa così da una grande considerazione ad una pessima opinione.

Se pensiamo ad un’immagine artistica di un bambino grassottello e paffuto pensiamo subito ai numerosissimi putti che hanno invaso l’arte del Rinascimento e del Barocco. I putti sono bambini completamente nudi, senza una caratterizzazione fisionomica precisa che li possa distinguere l’uno dall’altro, intenti in varie attività ludiche, ma tutti grassottelli, pieni di ciccia, e che propongono un ideale infantile universale: un’immagine di salute e serenità. L’immagine del bambino obeso non ha risparmiato neppure il Bambino Gesù, che in alcuni casi viene raffigurato così florido da far sorridere dalla tenerezza: tra le braccia della loro Mamma, molto spesso mentre ciucciano il latte dal suo seno, i Bambino Gesù di Lorenzo di Credi o di Marinus van Reymerswaele sorprendono per la veridicità della loro descrizione, per l’ostentato compiacimento nel ritrarre l’obesità infantile.

Nelle incisioni di Peter Bruegel il Vecchio e nei quadri di Jan Steen o Jacob Jordaens, nel disordine di banchetti pantagruelici vengono presentati molti bambini che mangiano, bevono, fumano e si comportano in modo sconveniente, ma soprattutto sono grassi ed obesi come gli adulti. L’immagine artistica diventa chiaro messaggio moralistico: ci viene ricordato che i vizi e le cattive abitudini apprese da piccoli continuano inevitabilmente in età adulta; in particolare, i corretti stili alimentari devono essere insegnati molto presto ai bambini. Questa è una vera e moderna educazione alla salute. Ma colui che ha dato forma artistica all’obesità è stato l’artista latino-americano, Fernando Botero, nato nel 1932 in Colombia; egli ha creato un mondo extralarge, formato da uomini, donne e bambini decisamente fuori misura. Le sue creazioni sono dipinte o scolpite con una surreale ironia, senza che traspaia dal loro viso alcun sentimento o emozione. Solo calma e quiete. Sembra aver dato voce a tutti i grassoni del mondo.

 Definizione

Il termine cibo spazzatura è stato utilizzato per la prima volta nel 1951 da Michael F. Jacobson (nella forma inglese Junk food) per indicare una tipologia di cibo considerato malsano a causa del suo bassissimo valore nutrizionale e dell’elevato contenuto di grassi o zuccheri. È lo stesso Jacobson, fondatore del Centro per le Scienze di Pubblico Interesse che, già nel 1972, disse: «Le bibite sono la quintessenza del Junk food, tutto zucchero e calorie senza nessun nutriente. Gli americani stanno affogando nelle bibite». Nonostante ciò, si tratta di un modo di dire sconosciuto in ambito medico-scientifico: in uno dei trattati più importanti al mondo di nutrizione, su 1600 pagine, l’espressione ‘Junk food’ compare una sola volta per indicare alimenti che ‘i bambini debbono evitare’. Su Medline, la più conosciuta banca dati in ambito biomedico, questa definizione non compare tra le parole chiave di ricerca.

Non abbiamo quindi una descrizione precisa, scientifica, di quali alimenti considerare ‘junk’.

Per semplificare possiamo affermare che il cibo spazzatura ha:

Densità calorica assolutamente inadeguata allo stile di vita sedentario che allo stesso tempo non ottempera alle necessità fisiologiche di vitamine, oligoelementi, antiossidanti, fibra alimentare, acidi grassi essenziali.

 Rischi

Di certo però conosciamo i rischi inerenti il fast food:

Sappiamo che il nostro organismo reagisce al Junk food come ad una infezione e quindi infiammandosi, come si evince da uno studio dell’Università di Bonn, a cui si aggiunge il lavoro di Zurigo (che testimonia i danni cerebrali da Junk food) e quello dei colleghi del Kuwait che possono testimoniare l’innalzamento di alcuni markers tipici delle placche ateromasiche. Si moltiplicano i lavori scientifici circa le relazioni tra lo stile di vita/assunzione del cibo spazzatura e l’aumento della pressione arteriosa, nonché la resistenza all’insulina con la conseguente insorgenza di diabete di tipo 2. Interessante è anche la scoperta della relazione inversa fra l’assunzione del cibo spazzatura e la capacità di concentrarsi ed elaborare il pensiero, come emerge da uno studio scientifico pakistano. Secondo uno studio della Bristol University (Regno Unito) pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, i ricercatori sono stati in grado di associare ad una dieta a base di cibi industriali a partire dai tre anni d’età, un’intelligenza leggermente inferiore. «Lo sviluppo del cervello è molto rapido nei primi anni di vita – spiegano i ricercatori – sembra che ciò che accade più in là negli anni sia invece meno importante».

Ad avvertire gli amanti di hamburger, hot dog e patatine fritte è un gruppo di ricercatori spagnoli delle Università di Las Palmas e di Granada. Secondo quanto riportato sulle pagine di Public Health Nutrition, l’effetto è del tipo dose-risposta e tanto più si indulge nel consumo di questi cibi, tanto maggiore è il rischio di diventare depressi, che può addirittura aumentare del 51%. I soggetti più a rischio sono i single, spesso fumatori, che lavorano più di 45 ore alla settimana, dedicano poco tempo all’attività fisica e tendono a prediligere un’alimentazione povera di cibi salutari come pesce, frutta e verdura. Ultimo connotato, la voracità: secondo Sanchez-Villegas e colleghi, infatti, tanto più il food è fast, tanto più elevato è il rischio di depressione.

D’altra parte, abbandonare il Junk food scatena astinenza e depressione. A dimostrarlo è uno studio pubblicato dai ricercatori dall’Università di Montreal (Canada) sull’International Journal of Obesity, secondo cui topi alimentati con una dieta ricca di grassi – com’è ricco di grassi il cibo spazzatura – hanno a che fare con una vera e propria sindrome d’astinenza nel momento in cui ne vengono privati.

Se volessimo tracciare un identikit del soggetto consumatore di Junk food, probabilmente sarebbe il seguente:

Una ricerca Public Library of Science One (PLoS ONE) condotta esaminando la risposta metabolica di tre gruppi di topi sottoposti a tre regimi alimentari differenti – il primo a base di lardo, il secondo a base di junk food, il terzo equilibrato, utilizzato per il gruppo di controllo – ha evidenziato che «la dieta che consisteva nel cibo spazzatura ha causato un livello maggiore di infiammazione e cambiamenti metabolici», spiega Liza Makowski, coordinatrice dello studio.

Un’alimentazione a base di cibo da fast food e affini, infatti, contiene diversi elementi – come grassi saturi, grassi trans, sodio e colesterolo – associati a un aumentato rischio di coronaropatie, ictus e diabete di tipo 2, mentre risulta carente in nutrienti salutari e protettivi come le fibre.

Mangiare troppo Junk food durante la gravidanza e l’allattamento desensibilizza i meccanismi di ricompensa nel cervello del bambino, programmandolo alla dipendenza da cibi ricchi di grassi e di zuccheri. Pertanto, il messaggio che le donne devono portare a casa – ha sottolineato Bev Mühlhäusler, responsabile di uno studio condotto a Adelaide e pubblicato sul Faseb Journal – è che mangiare grandi quantità di Junk food durante la gravidanza e mentre si allatta al seno avrà conseguenze a lungo termine sulla preferenza dei loro figli per questi cibi, cosa che alla fine avrà effetti negativi sulla loro salute’.

Ma allora perché la gente, e soprattutto i ragazzi, si strafogano sempre più di Junk food?

La risposta è molto semplice: perché sono buoni, perché sono stati concepiti per esaltarne la palatabilità, perché sono comodi, ma soprattutto… perché sono economici.

In definitiva, il cibo spazzatura costa la metà, fa ingrassare il doppio e nutre 1/10 rispetto al pasto mediterraneo. Lo stesso discorso vale per la distribuzione automatica nei locali pubblici, tra i quali le scuole. Per 1 euro, quanti di voi, di fronte ad una bustina di coloratissime arachidi ricoperte di cioccolato, sceglierebbero una monoporzione di frutta? La risposta è scontata… sale, zucchero e grassi, sono gli ingredienti della scienza del cibo spazzatura.

Ci sono veri e propri studi scientifici mirati ad aumentarne la palabilità a tutti i costi. A svelarlo è Salt, Sugar, Fat: How the Food Giants Hooked Us, libro scritto dal giornalista del New York Times Michael Moss, dopo tre anni passati a studiare quella che può essere definita la scienza del cibo spazzatura. Per rendere i loro prodotti più appetibili, le aziende si basano addirittura su studi di risonanza magnetica mirati a svelare il potere sensoriale di questi elementi, cioè in che modo attivano aree del cervello coinvolte nel piacere associato al loro consumo. Proprio sulla base degli indizi forniti da questi studi, i produttori lavorano alla ricerca di metodi per rendere il cibo spazzatura irresistibile e far sì che i consumatori lo acquistino nuovamente.

Per le aziende è più economico cercare di aumentare le sensazioni piacevoli scatenate da sale, zucchero e grassi piuttosto che migliorare il sapore dei cibi, senza aggiungere questi ingredienti pericolosi per la salute. Sulla base di ricerche che hanno dimostrato che i cibi grassi sono amati più per la loro consistenza che per il loro sapore, l’industria alimentare lavora più alla modificazione della distribuzione e della forma delle particelle di grasso nei prodotti, piuttosto che alla loro riduzione. Allo stesso modo, le aziende hanno pensato di rendere più fine il sale per far sì che stimolasse di più le papille gustative. Per non parlare di ciò che si può fare con gli zuccheri, come renderli 200 volte più dolci rispetto a quanto non lo siano già.

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