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Lo stato di salute in Italia

Disuguaglianze socio-economiche
e gradiente geografico

di Carlo De Luca

L’aspettativa di vita alla nascita esprime il numero di anni che rimane da vivere ad una persona che nasce in un determinato anno e in un certo luogo. Essa costituisce uno dei parametri fondamentali utilizzati per misurare lo stato di salute di una popolazione intesa nella sua complessità, legata non solo agli aspetti sanitari ma anche a quelli economici e sociali. Ed infatti, nel mondo, il dato dell’aspettativa di vita tende a sovrapporsi con quello dello sviluppo economico e del progresso sociale (Figura 1).

Lo stato di salute in ItaliaNei Paesi aderenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’aspettativa media di vita alla nascita nel 2015 ha superato gli 80 anni con un guadagno di oltre 10 anni rispetto al 1970 (Figura 2).

Figura 2

Nello stesso anno l’Italia si collocava al quarto posto assoluto attestandosi, l’aspettativa di vita, su un valore di 82,6 anni, ben superiore alla media OCSE di 80,6 anni. Peraltro nel 2015 in Europa, ed anche in Italia, l’aumento della speranza di vita si era arrestato dopo un decennio di crescita continua. Così, a seguito delle oscillazioni demografiche e dell’intervento di fattori congiunturali, anche nel nostro Paese si era verificata una riduzione rispetto all’anno precedente. Tuttavia, già nell’anno 2016, l’aspettativa di vita è risalita a 82,8 anni.

Nonostante l’ottimo stato di salute generale, l’Italia soffre però di importanti squilibri che configurano vere e proprie disuguaglianze. E non si esagera quando si dice che la giustizia sociale sta diventando una questione di vita o di morte. Infatti, è ormai acclarato che il contesto socio-economico in cui le persone vivono pesa in maniera decisiva sul rischio di malattia e di morte.

Figura 3

Figura 4

Nelle Figure 3 e 4 sono riportati i valori di vari tipi di aspettativa di vita per ripartizione geografica. In tutta evidenza il Nord del Paese può godere di uno stato di salute migliore rispetto al Centro e questo rispetto al Sud. Dalla Figura 3 emerge che nel Nord non solo si ha una maggiore aspettativa di vita in generale ma anche di una vita condotta in buona salute. Dalla Figura 4 appare chiaro invece che, giunto all’età di 65 anni, un italiano residente nel Nord ha una speranza di vita senza importanti disabilità di ancora 11 anni. Questo tempo si riduce a 10 anni per i residenti nel Centro e ad 8 anni per quelli che vivono al Sud. Le differenze sono di tutta rilevanza.

Figura 5

La disuguaglianza territoriale si incrocia con quella socio-economica, come emerge da uno dei primi studi condotti in Italia in questo ambito (Figura 5). Sia pure in un campione limitato di popolazione, si è potuto accertare che nel periodo 1999-2007 il rischio di morte risultava significativamente maggiore negli individui con grado di istruzione inferiore (maschi e femmine), nei disoccupati, lavoratori manuali e autonomi (maschi), tra le persone con risorse economiche scarse o insufficienti (maschi e femmine).

La reale operatività dell’elemento territoriale e di quello sociale è dimostrata dallo studio dell’Istat dal quale emerge che il gradiente geografico continua ad essere un fattore efficiente a prescindere dal livello di istruzione.

Figura 6

La Figura 6 mostra, nel complesso, che la speranza di vita a 30 anni è minore nel Sud, rispetto al Nord ed anche al centro, in ambedue i sessi. Queste differenze rimangono quando il dato viene disaggregato per livello di istruzione.

Dunque, lo svantaggio territoriale si somma a quello sociale (e di genere). Le differenze osservate nella speranza di vita sono evidentemente legate ai diversi tassi di mortalità, maggiori nelle regioni del Sud. Nei Paesi che come l’Italia hanno adottato un sistema di assistenza sanitaria di tipo universalistico – il modello Beveridge – la distribuzione delle risorse avviene non solo in base alla numerosità delle popolazioni nei territori ma è ponderato per i tassi di mortalità e alcuni indicatori di deprivazione socio-economica. È quanto accade in Gran Bretagna, Canada, Australia. In Italia, invece, la ripartizione del fondo sanitario nazionale tra le diverse regioni è avvenuto, sino al 2016, tenendo conto fondamentalmente della sola struttura per età delle popolazioni. Ne sono risultate nettamente avvantaggiate, per decine di anni, le regioni del Nord, mediamente più anziane rispetto a quelle del Sud. Nel 2017, per la prima volta, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale si è tenuto conto di alcune misure di deprivazione. Naturalmente l’entità dei finanziamenti alle singole regioni dipende in misura decisiva dal peso relativo che, nel contesto del meccanismo di attribuzione delle risorse, viene assegnato ai tre fattori considerati: la struttura per età delle popolazioni, i tassi di mortalità, gli indicatori di deprivazione socio-economica. E sarebbe interessante conoscere questo dettaglio se non fosse che l’intero processo si svolge all’interno della Conferenza Stato-Regioni, di fatto una terza camera dello Stato, però non elettiva, e la cui attività non viene pubblicizzata se non in modo estremamente sommario.

Le previsioni sono estremamente difficili.

Specialmente sul futuro.

 

Neil Bohr

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