L'enigma dell'ultimo teorema di Fermat
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L’enigma dell’ultimo teorema di Fermat

Facciamo progressi

di Carlo De Luca

Un bambino di dieci anni seduto in una piccola biblioteca di periferia contemplava incantato il più famoso enigma della matematica. Ancora insoluto dopo tre secoli e mezzo. Sognò di poterlo risolvere e di stupire il mondo. E all’età di 43 anni ci riuscì.

La vicenda dell’ultimo teorema di Fermat è parte della storia della matematica e della teoria dei numeri. Consente anche di capire la intrinseca forza propulsiva della scienza e la passione che  muove i matematici. Ma soprattutto è la storia di un sogno. Quello che Andrew Wiles concepì da bambino e che infine realizzò in età adulta dopo aver dedicato lunghi anni alla soluzione di una questione rimasta irrisolta per oltre tre secoli. La vicenda è stata ben illustrata da Simon Singh, fisico e divulgatore scientifico, dal cui libro, pubblicato in Italia nel 1997, è tratto il riassunto seguente.

Andrew Wiles aveva dieci anni nel 1963 e si trovava in una piccola biblioteca di Cambridge, sua città natale, quando quasi per caso aprì un libro che narrava la storia dell’ultimo teorema di Fermat, l’enigma matematico per eccellenza, che ancora dopo oltre tre secoli dalla sua enunciazione rimaneva irrisolto e con il quale si erano cimentate senza successo intere generazioni di matematici.

Pierre de Fermat era un magistrato francese che nella prima metà del diciassettesimo secolo  esercitava nella città di Tolosa. Egli era anche un cultore della matematica cui si dedicava con passione, competenza e molto genio. L’indubbio talento gli consentiva di elaborare teoremi molto sofisticati al punto da fornire  contributi notevoli alla teoria dei numeri e delle probabilità. Aveva un carattere  riservato ma non per questo si privava di alcune soddisfazioni. In particolare egli si divertiva a provocare i più grandi matematici d’Europa proponendo loro il suo più recente teorema ma senza rivelarne la soluzione e sfidandoli anzi a trovarne la dimostrazione. Chiunque si fosse cimentato nell’opera aveva dovuto convenire che i teoremi erano tutti rigorosamente dimostrabili.

Fermat mori nel 1665. Uno dei figli, resosi conto dell’immenso e per molti aspetti originale patrimonio di conoscenze matematiche che il padre aveva accumulato, decise di ordinare i suoi appunti e di pubblicarli. Tra gli appunti che Fermat aveva  scritto ve ne era uno destinato a divenire famosissimo. Esso sosteneva che l’equazione xn + yn= zn  non ha soluzioni in numeri interi per n maggiore di due. In questi casi vale la disuguaglianza xn + yn è sempre disuguale da zn. In altri termini non è mai possibile che un cubo risulti dalla somma di due cubi o una quarta potenza dalla somma di due quarte potenze e così via. Oppure, che è lo stesso concetto, nessun numero che sia una potenza maggiore di due può essere scritto come somma di due potenze dello stesso valore.

L'enigma dell'ultimo teorema di Fermat

Nell’appunto, riportato ai margini di una copia dell’Arithmetica di Diofanto di Alessandria, Fermat scriveva: «Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina». Ma la dimostrazione non fu mai trovata. Nessuno però ebbe dubbi che anche l’ultimo teorema fosse vero e che Fermat ne avesse veramente trovato la dimostrazione matematica. Nacque così la leggenda dell’ultimo teorema di Fermat, che per oltre tre secoli affascinò i principali matematici del mondo i quali provarono tutti o quasi a dimostrarne la veridicità fallendo però sistematicamente. Uno dopo l’altro, tutti i grandi matematici era rimasti umiliati di fronte al lascito di Fermat. I fallimenti si accumulavano generazione dopo generazione aumentando sempre più la suggestione del grande enigma.

Eppure il teorema sembrava molto semplice, lineare, intuitivo, quasi di immediata comprensione per effetto della sua analogia formale con il teorema di Pitagora che tutti conoscono: «In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti». Espresso in forma di equazione il teorema di Pitagora è: x2 + y2= z2.

Pitagora aveva dato la dimostrazione matematica che il suo teorema valeva per ogni possibile triangolo rettangolo senza dover misurare sperimentalmente tutti i possibili triangoli rettangoli. Fermat sosteneva che, analogamente, di possedere la dimostrazione che l’equazione non era vera per terna di numeri interi e per ogni possibile potenza superiore a due. Ma nessuno dei più grandi matematici del mondo per oltre tre secoli era riuscito a dimostrarlo. Fu esattamente questo che affascinò Andrew Wiles. Un bambino di dieci anni, seduto in una piccola biblioteca di periferia, contemplava incantato il più famoso enigma della matematica, ancora irrisolto dopo tre secoli e mezzo. Il bambino sognò di poterlo risolvere e di stupire il mondo.

Laureatosi in matematica, Wiles emigrò negli anni ‘80 negli Stati Uniti dove aveva ottenuto una cattedra all’Università di Princeton, presso la quale si guadagnò la fama di essere uno dei matematici più brillanti della sua generazione. Nel corso della sua carriera, spinto dagli interessi personali ma anche dalle necessità di lavoro, aveva accresciuto le sue conoscenze proprio in quegli ambiti della matematica che si sarebbero rivelati strategici ai fini della soluzione dell’ultimo teorema di Fermat. Quando ormai la sua carriera accademica si era stabilizzata egli decise di mettere a frutto questo patrimonio di conoscenze per inseguire quello che era stato il suo sogno di bambino. Nel 1986 Wiles decise anzi di dedicare tutte le sue energie esclusivamente alla soluzione del teorema di Fermat. Ci vollero sette anni prima che egli giungesse ad un risultato apprezzabile, sebbene non definitivo. Nel corso di questo periodo egli aveva lavorato in assoluto isolamento e nella più assoluta segretezza. Neanche i colleghi più vicini avevano avuto sentore degli studi di Wiles. Anzi allo scopo di mascherare l’oggetto vero delle proprie ricerche, Wiles pubblicava periodicamente su riviste scientifiche i risultati di suoi studi precedenti. In realtà egli dedicava in segreto tutto il suo tempo al teorema di Fermat accumulando progressivamente un patrimonio di conoscenze del quale non metteva al corrente neanche le persone più care ed i colleghi più vicini. E questo non tanto per timore di svelare intuizioni originali, ma soprattutto per una sorta di ritegno che egli aveva nel mostrarsi così tenacemente attaccato al suo sogno di bambino. Solo la moglie Nada era a conoscenza del suo segreto.

Il suo lavoro, per quanto isolato, non poteva però prescindere dagli altri. Egli doveva avvalersi dei risultati raggiunti da altri nei loro precedenti tentativi di dimostrare l’ultimo teorema di Fermat. Inoltre Wiles poteva contare sulle nuove conoscenze matematiche che si erano prodotte nel secondo dopoguerra, in particolare in Giappone. La base del suo lavoro era la cosiddetta congettura di Taniyama sulle curve ellittiche, formulata negli anni ‘50 e ripresa successivamente da altri illustri matematici che ne avevano provato la fondatezza. Era un’epoca nella quale il mondo accademico matematico avvertiva che l’ultimo teorema di Fermat era vicino ad una soluzione che però tardava ancora ad arrivare. Con un certo sollievo Wiles assistette in quegli anni a diversi tentativi di dimostrazione tutti sistematicamente coronati da insuccesso.

Gli sforzi che egli compì per così tento tempo non furono vani. Nel 1993 egli credette di aver trovato la dimostrazione del teorema. Fu allora che si confidò con un carissimo amico e collega, Nick Katz, al quale anzi chiese di verificare  la fondatezza dei singoli passaggi della dimostrazione. Solo quando l’amico non ebbe a trovare alcun punto debole, allora egli si decise ad annunciare al mondo accademico di aver finalmente raggiunto la dimostrazione matematica dell’ultimo teorema di Fermat. Questa fu presentata ad un consesso scientifico internazionale che si tenne a Cambridge nel 1993. Wiles impiegò tre conferenze di quel consesso per illustrare tutti i passaggi della sua dimostrazione nello stupore e nell’ammirazione generale. Nelle settimane successive, mentre Wiles preparava il manoscritto da dare alle stampe, Nick Katz ebbe l’impressione di aver trovato un errore nella dimostrazione e ne scrisse a Wiles, senza peraltro ricevere risposte esaurienti. Wiles si era reso conto che l’errore notato solo allora dall’amico era determinante al punto da compromettere l’intera dimostrazione.  Dovette ammettere l’errore. Ancora una volta Fermat si era fatto beffe dei professionisti della matematica. Il mondo accademico, frustrato per l’ennesimo insuccesso ma convinto che la soluzione fosse ormai prossima, chiese a Wiles di rendere comunque pubblici i suoi risultati affinché facessero da base sulla quale potessero lavorare anche altri. Wiles rifiutò decisamente gli inviti e si rivolse ad un collega, Richard Taylor, per essere sostenuto nell’ultimo sforzo. Affrontò quell’unico punto debole con determinazione feroce ma impiegò un ulteriore anno per superarlo. Finalmente, nel 1994, Wiles poté dimostrare al mondo intero, questa volta in modo definitivo, la veridicità dell’ultimo teorema di Fermat. La grande avventura si era conclusa: l’antico enigma aveva trovato infine una soluzione.

Certamente Wiles si era avvalso di conoscenze acquisite nel ventesimo secolo e che Fermat non poteva avere nel diciassettesimo. Rimane quindi il mistero di quale fosse e se veramente ci fosse una dimostrazione elaborata da Fermat. Comunque Andrew Wiles aveva risolto ufficialmente il più grande enigma matematico della storia. Aveva 43 anni quando Wiles riuscì infine a realizzare il suo sogno di bambino. Così egli commentò il suo risultato:

Ho avuto il raro privilegio di riuscire a realizzare nella mia vita adulta quello che era stato il mio sogno d’infanzia. So che è un privilegio raro, ma se da adulto riesci ad afferrare qualcosa che per te significa così tanto, ciò è più gratificante di ogni altra cosa immaginabile. Dopo aver risolto questo problema avverto sicuramente un senso di perdita ma allo stesso tempo un tremendo senso di libertà. Ero così ossessionato da questo problema che per otto anni ci ho pensato tutto il tempo, da quando mi svegliavo alla mattina fino a quando andavo a dormire la sera. È un tempo molto lungo per pensare a una sola cosa. Ora quella particolare odissea è terminata. Il mio animo è in pace.

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