Gli ultracentenari in Sardegna: solo questione di geni?
 |  | 

Gli ultracentenari in Sardegna: solo questione di geni?

 

di Cristina Cauli e Dino Passiu

 

È ormai noto a tutti, esperti e non, che l’Italia è un Paese che invecchia sempre di più; il Report Istat sugli indicatori demografici relativi all’anno 2016 stima come gli individui di 65 anni e più rappresentino il 22,3% della popolazione totale, quelli di 80 anni e più il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono 727 mila (l’1,2% del totale). Se si considerano gli ultracentenari, che nel 2002 erano più di 6 mila, al 1 Gennaio 2017 sono circa 17 mila; tale crescita è da correlarsi con l’aumento dell’aspettativa di vita anche nelle fasi più avanzate dell’esistenza umana.

In Sardegna, e non solo in Ogliastra e Barbagia – che, assieme al Giappone di Okinawa, alla California di Loma Linda, alla Costa Rica di Nocoya e alla Grecia di Icaria, rappresentano una delle cinque ‘Blue Zone’ del mondo: aree geografiche e demografiche dove le persone vivono più a lungo della media – ma anche in altre zone come per esempio Sassari e Alghero, si registra una delle più alte concentrazioni di centenari al mondo e diversi gruppi di ricerca sono impegnati a scoprire ‘la formula’.

Gli ultracentenari in Sardegna: solo questione di geni?

La particolarità degli ultracentenari sardi è che il rapporto maschi / femmine ultracentenari in Sardegna è ben diverso da quello presente altrove; se nel resto d’Italia e in Occidente il rapporto è di 1 a 4 se non addirittura di 1 a 7, nell’Isola è generalmente al di sotto di 1 a 2 per diventare paritetico nelle aree interne.

 

L’invecchiamento è un processo biologico complesso multifattoriale condiviso da tutti gli organismi viventi; è caratterizzato da un graduale declino ‘tempo-dipendente’ delle normali funzioni fisiologiche e ha un impatto rilevante sulla salute in quanto aumenta la suscettibilità a patologie quali tumori, disordini metabolici, malattie cardiovascolari e neurodegenerative (Brunet, 2014; Kennedy, 2014). Strettamente correlato al processo dell’invecchiamento è il concetto di ‘Fragilità’, definita come uno stato biologico età-dipendente caratterizzato da ridotta resistenza agli stress, secondario al declino cumulativo di più sistemi fisiologici (Fried, 2001) e correlato a comorbilità, disabilità, rischio di istituzionalizzazione e mortalità (Fried, 2004).

Sono stati chiamati in causa svariati determinanti della Fragilità quali stati infiammatori cronici, deficit ormonali, disfunzioni immunitarie, modificazioni dell’espressione genica, riduzione della capacità dell’organismo di autocorreggersi per la perdita di efficacia dei sistemi complessi con conseguente perdita di adattarsi di fronte ai fattori di stress.

Un modello proposto da Walston e Coll (2004) sottolinea la natura ciclica della Fragilità evidenziando come le perdite funzionali in una o più aree possano dare inizio o perpetuare il ciclo del declino funzionale di tutto l’organismo.

Anche il sistema cardiovascolare, pur in assenza di ipertensione arteriosa o altre patologie cardiovascolari clinicamente manifeste, va incontro con l’invecchiamento a modificazioni strutturali e funzionali che ne compromettono le capacità di riserva. Ciò spiega perché l’età avanzata rappresenti uno dei maggiori fattori di rischio per morbilità e mortalità cardiovascolare.

In particolare, le arterie vanno incontro a processi di ispessimento dell’intima con conseguente aumento della rigidità del vaso mentre a livello dell’endotelio si assiste a un progressivo declino delle sue funzioni che comporta aumento di permeabilità, secrezione di fattori protrombotici, vasocostrittori e proinfiammatori, fenomeni di apoptosi, incremento dello stress ossidativo (Jakovljevic,  2017).  

D’altro canto anche il cuore con l’invecchiamento va incontro a modificazioni funzionali, strutturali, cellulari e molecolari che possono spiegare l’evidente associazione tra l’avanzare dell’età e l’aumento della prevalenza di patologie quali lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale (Steenman, 2017)

Fatte queste premesse, qual è il segreto degli ultracentenari sardi per resistere al tempo che passa?

Antonio Todde, nato a Tiana (comune sardo di circa 500 abitanti della Barbagia di Ollolai nella provincia di Nuoro) il 22 Gennaio 1889 e morto, sempre a Tiana, il 3 Gennaio 2002, all’età di 112 anni e 346 giorni, ottenendo il primato dell’uomo più vecchio del mondo attestato dal Guinnes World Record 2001 certificato da documenti anagrafici originali e dai certificati di battesimo. Il Todde faceva parte di una famiglia longeva, amava camminare a piedi, mangiava pasta e minestre di verdure, carne di maiale o di agnello e beveva tutti i giorni un bicchiere e mezzo di vino rosso.

Vittoria Mura (classe 1911) amava ricamare, cucire, ma anche dedicarsi alla cucina; dice degli anni passati: «la gente era più povera, ma c’era l’affetto; adesso non si vuole più bene nessuno». Caterina Solinas (classe 1913) rievoca spesso l’ambiente dei campi; aveva sei fratelli da crescere, cucinava, preparava il pane. Dice: «Fia manna primm’e s’ora» (sono diventata grande prima del tempo); il lavoro era stancante per gli adulti, «figuriamoci per una bambina come me ma sai come dice il proverbio? Su traballu no hat mai mortu a niunu» (il lavoro non ha mai ucciso nessuno). Quando espresse il desiderio di studiare la distolsero facilmente da questa idea facendola passare per una bimba di troppe pretese; ma imparò comunque a riconoscere le lettere dell’alfabeto, perciò sa leggere e grazie a una memoria di ferro, recita intere poesie in sardo. Per Filomena Muresu (classe 1915) la fede ha inciso positivamente sulla sua longevità perché il credo, e non importa quale sia, aiuta nei momenti difficili e i dispiaceri non fanno bene alla gente. (Storie di tre centenarie, legate dallo stesso destino di Elena Pisuttu, Luglio 2016).

Ultracentenari in Sardegna

Nella nostra Isola è presente un’intensa attività di ricerca sull’elisir della longevità. Il progetto ‘Progenia’, nato dalla collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il National Institute of Aging degli Stati Uniti – che lo finanzia interamente per circa 28 milioni di dollari per 10 anni – ed il National Institute of Health (NIA-NIH), ha come target principali la scoperta dei geni dell’invecchiamento, di quelli che causano l’ictus e l’arteriosclerosi. Vede la partecipazione attiva di 6.148 individui volontari di età compresa tra i 14 ed i 102 anni, provenienti dai Comuni di Lanusei, Ilbono, Arzana ed Elini. Gli individui condividono buona parte della loro informazione genetica, agevolando così l’individuazione degli effetti genetici attraverso le generazioni. Infatti quello sardo è un popolo originato da un piccolo gruppo di individui, chiamati ‘fondatori’, sviluppato in un ambiente circoscritto per millenni, con scarsa immigrazione da parte delle altre popolazioni. L’alto grado di parentela tra queste popolazioni fa sì che uno o pochissimi geni siano predominanti nello studio di patologie complesse. Le moderne analisi sono in grado di identificare questi geni. La popolazione sarda è una delle poche che sia contemporaneamente numerosa, facilmente accessibile e con un alto grado di omogeneità.

L’attività di ricerca si articola in due grandi sezioni: l’analisi fenotipica e l’analisi genetica. L’analisi fenotipica ha lo scopo di raccogliere, attraverso visite mediche effettuate presso il centro di Lanusei, misurazioni di tratti quantitativi evidenti, quali l’altezza, il peso, i parametri ematologici, la pressione arteriosa, l’elasticità delle arterie e molti altri, compreso un profilo della personalità dell’individuo. Successivamente queste misure sono messe in correlazione con i tratti genetici di ciascun individuo ottenuti tramite l’analisi del DNA, allo scopo di identificare i geni responsabili del complesso processo dell’invecchiamento. Ad oggi, si è dimostrata l’esistenza di regioni geneticamente importanti nel determinare l’insorgenza di malattie quali l’ipertensione arteriosa, l’infarto, gli stati depressivi. Sono stati identificati alcuni geni che regolano i livelli di acido urico, colesterolo, trigliceridi, emoglobina fetale. I geni possono spiegare in parte la variabilità di molte misure antropometriche (altezza e obesità in particolare) e molti tratti della personalità.

Un altro importante progetto che studia da oltre dieci anni il fenomeno della longevità nel territorio sardo è il progetto ‘AKeA’, acronimo di ‘A Kent’Annos’, affermazione diffusa in tutta la Sardegna per augurare una lunga vita, oltre cent’anni. Questo progetto – che fa capo alla cattedra di Biochimica Clinica dell’Università di Sassari e vede la collaborazione del Max-Planck Institute for Demographic Research, Rostock, Germania, e dalla Duke University, North Carolina, USA – è basato sulla metodologia della certificazione: si studiano soltanto gli individui in possesso di documentazione ufficiale e le persone in vita che sottoscrivono il consenso informato e accettano la visita a domicilio dei ricercatori dell’Università di Sassari. Tale studio viene effettuato da un team di ricerca costituito da demografi, medici, biologi, ognuno con un compito preciso. I demografi si occupano di effettuare una ricerca dei centenari nati in Sardegna, richiedendo, agli Uffici dell’anagrafe dei Comuni, certificato di nascita, di residenza e di eventuale decesso; si occupano inoltre della costruzione degli alberi genealogici della famiglia cui i centenari o supercentenari appartengono. Parallelamente a questo, i medici e i biologi si occupano di effettuare la compilazione di una cartella clinica per ogni centenario arruolato che viene sottoposto a prelievo di sangue utilizzato sia per analisi biochimico-cliniche che per la ricerca di genomica, proteomica, metabolomica e di biologia molecolare. L’originalità dello studio risiede nella possibilità di testare l’ipotesi di una associazione tra alcuni geni e la longevità in una popolazione quale quella sarda che ha caratteristiche genetiche differenti dalla maggior parte delle popolazioni caucasiche. Il gruppo di ricerca ‘AKeA’ a tutt’oggi ha raccolto la certificazione di oltre 1800 centenari vissuti e viventi in Sardegna consultando sia gli archivi dei comuni che riportano certificazioni a partire dal 1886, sia gli archivi parrocchiali i quali consentono di attingere a documenti datati sino al 1500.

Sicuramente la genetica gioca un ruolo importante nella longevità e sono in corso diversi studi mirati a dimostrare per esempio l’eventuale influenza di mutazioni a carico del DNA mitocondriale codificante per alcune sub-unità della catena di fosforilazione ossidativa (Deiana, 2014) o la differente distribuzione nei longevi di alcuni polimorfismi genici quali quelli dell’interleuchina 6, responsabile dell’induzione della risposta di fase acuta, dell’aumento di proliferazione, differenziazione e produzione di immunoglobuline delle cellule B e coinvolta nella formazione della placca aterosclerotica inducendo la proliferazione della cellule vascolari muscolari lisce e il reclutamento dei linfociti (Deiana, 2009).

Oltre alla genetica, anche l’alimentazione influisce in maniera determinante sulla straordinaria longevità dei sardi. Il progetto ‘AKeA’ ha infatti accertato che gli alimenti sardi hanno davvero una…marcia in più! Gli ortaggi e i legumi sono coltivati soltanto per il consumo locale, senza sostanze chimiche o pesticidi; il vino rosso, prodotto a livello familiare, contiene percentuali molto elevate di resveratrolo, dalle note virtù antiossidanti; la frutta viene raccolta direttamente dagli alberi del giardino di casa ed è ricchissima di polifenoli. Pertanto la dieta nella Sardegna rurale si basa sull’autoproduzione di alimenti che hanno un valore nutrizionale di gran lunga migliore rispetto ai prodotti della grande distribuzione avendo un contenuto superiore di antiossidanti, flavonoidi e polifenoli che hanno dimostrato un effetto protettivo nei confronti del deterioramento cognitivo (Vauzour, 2017), delle patologie cardiovascolari (Zheng, 2017) e della fragilità (Puts, 2017).

Ma la vera sorpresa è rappresentata dal latte delle pecore e delle capre degli allevamenti sardi e dal formaggio che se ne ricava che racchiude bacilli in grado di resistere all’acidità gastrica e tenere sotto controllo i livelli di colesterolo. Particolarmente benefico anche quello fermentato – chiamato in dialetto ‘gioddu’ – simile allo yogurt, preparato artigianalmente dai pastori, che vanta un elevatissimo contenuto di fermenti lattici e di principi attivi facilmente assimilabili. Prezioso, infine, l’olio di lentisco – ricavato dalla pianta omonima – ricco di acidi grassi essenziali e con una buona concentrazione di vitamina E, un tempo destinato alle tavole dei poveri che non potevano permettersi l’extravergine ma oggi rivalutato grazie alle sue proprietà nutrizionali.

Gli ultracentenari in Sardegna: solo questione di geni?Gli ultracentenari sono stati inoltre instancabili lavoratori. Sono ampiamente dimostrati gli effetti benefici dell’attività fisica per evitare o rallentare il deterioramento cognitivo (Chieffi, 2017 – Schattin, 2016), per prevenire o ridurre la fragilità (Puts, 2017) e la sarcopenia (Steffl, 2017 – Gomes 2017) e per attenuare il declino delle funzioni cardiovascolari (Jakovljevic, 2017).

Gli ultracentenari in Sardegna: solo questione di geni?

Infine secondo il Professor Luca Deiana, biologo molecolare dell’Università di Sassari, oltre ai geni e all’alimentazione, la longevità sarda dipende anche da un terzo fattore: «I centenari – dice – hanno un carattere meraviglioso, allegro; amano dire che quando una persona canta e balla non pensa a far del male; sono amati dalla famiglia e da tutto il paese; e sono convinto che questo affetto, questo stare bene nell’ambiente, fa parte del ‘pacchetto’ che contribuisce alla longevità». Pertanto, probabilmente, non un singolo fattore, ma una miscela di genetica, ambiente, armonia, genuinità, rappresentano il segreto della lunga vita. 

Gli ultracentenari in Sardegna: solo questione di geni?

Articoli simili