Storia della Grafologia
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Storia della Grafologia

di Silvia Mazzolini

(Prima Parte)

La grafologia (graphos-logos) è «la scienza che studia le leggi regolanti l’interdipendenza tra i fenomeni grafici e i fenomeni fisio-psichici» (L.Spotti); trova applicazione in numerosi ambiti e l’oggetto di esame è la scrittura. Ma cosa è la scrittura?

«è la registrazione grafica di un movimento espressivo, prodotto dal gioco di ossa, muscoli, nervi della mano e delle dita, ma collegato con quello dell’avambraccio e del braccio, in relazione con i centri nervosi, in stretta coordinazione con l’integrità organica e psichica dello scrivente»

(C.A. HONROTH, A. ZARZA, Si y no né la grafologia clàsica, TORQUEL, BUENOS AIRES, 1961, Pag. 7)

Scrivere è inoltre il risultato di un’attività simbolica, spaziale e temporale in cui il gesto grafico si imprime su una superficie, lasciando la sua impronta, il suo ritmo, la sua energia, per modulare una forma che riconduce inconfondibilmente al suo autore.

Il gesto grafico è un prodotto non soltanto della mano e del braccio (i quali sono meri mezzi meccanici), ma del cervello e del Sistema Nervoso Centrale e Periferico, ai quali compete la regia di comandare l’esecuzione. Scrivere, quindi, è un atto cerebrale e la scrittura è il risultato delle stesse attività neuronali da cui derivano i comportamenti umani che, a loro volta, sono propri ed esclusivi di ognuno.

L’interesse per l’aspetto non verbale della scrittura ha origini antichissime; già in Cina, diversi secoli prima della nascita di Cristo si ipotizzava un legame diretto tra la grafia e il temperamento. In occidente, nel IV sec. a.C, fu Aristotele ad essere attratto dall’espressività del segno grafico definendolo ‘rilevazione dell’anima e del discorso’. Egli affermava infatti che, ‘così come nel parlare gli uomini hanno voci diverse, anche nello scrivere non sono tutti uguali’, anticipando uno dei cinque principi che sono alla base della moderna grafologia e cioè che ‘non esistono due persone che scrivono esattamente allo stesso modo’ (ENFSI-BPM-FHX-01, Best Practice Manual for the Forensic Examination of Handwriting, pag.26).

In epoca romana, un’importante testimonianza ci viene dallo storico e biografo Svetonio, autore de De vita Caesarum. Analizzando la grafia dell’Imperatore Ottaviano Augusto, di lui così scrive:

«Nei suoi autografi ho anche notato questa particolarità: non divide mai le parole, portando al principio della riga seguente le lettere che avanzano in fondo alla riga, ma le scrive immediatamente sotto, circondandole con una linea […] Non osserva molto l’ortografia, cioè il modo e la regola di scrivere stabilita dai grammatici, e sembra che segua piuttosto l’opinione di coloro che dicono che si debba scrivere come si parla. Infatti spesso inverte le lettere e le sillabe intere, o addirittura le salta».

(SVETONIO, Vita dei Cesari, Rizzoli, Milano, pag. 277)

Egli, quindi, analizza e descrive dettagliatamente le caratteristiche del movimento grafico della scrittura di Augusto, rilevando specificità non usuali per un Imperatore e che oggi, da un grafologo, sarebbero interpretate come indici grafici di una evidente disgrafia. Tali riferimenti storici comunque si limitano fino ad ora a semplici osservazioni dei tracciati manoscritti e non sono stati rinvenuti studi veri e propri sulle scritture. È necessario fare un considerevole salto nel tempo e precisamente al 1600 per ritrovare i primi accenni di uno studio sistematico della scrittura. La grafologia infatti sorge con l’evoluzione culturale dell’Occidente e parallelamente alla fisiognomica (XVI-XVII sec.).

La pubblicazione nel 1611 da parte di Prospero Aldorisio di Idengraphicum Nuntium può essere ritenuto il primo tentativo di formulazione di assiomi di natura grafologica. Aldorisio nel suo trattato si propone di individuare, tramite l’analisi della grafia, la fisionomia di quel dato soggetto unitamente al carattere. Una traccia delle sue analisi si ritrova in una lettera inviata il 24 agosto 1613 da Franciotto Orsini, signore di Monterotondo, a Galileo Galilei:

«Molto Ill. Sig.re Resto con infinito obbligo all’amorevolezza di V. S., et dalle raggioni adottemi, nella sua lettera conosco il suo raro giuditio et virtù, le quali m’appagano, ringratiandola quanto devo; et sì come io sono stato pronto nel prender segurtà di Lei, così mi sarà carissima ogni occasione di poterle mostrare con effetti il desiderio di servirla. Nell’istesso tempo che mi fu resa la lettera di V.S., si trovava con me il S.or Prospero Aldorisio, del quale mandai le conclusioni; et letta che io hebbi la lettera, gliela diedi, dicendoli che volesse dire qualche cosa sopra il carattere di essa».

Il discorso che Franciotto Orsini manda in allegato alla lettera, scritto di proprio pugno da Prospero Aldorisio, è il seguente, ed è un’analisi della scrittura dal punto di vista ‘ideografico’:

«Giudica il temperamento del corpo sanguigno: habbia l’occhio più presto cavato indentro, la fronte grande, il color della carne biondo scuro, di pelo castagnaccio lucido, di statura conveniente, più presto alta. De l’animo, sii persona nell’attioni violento».

(Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia, 2011)

Così Aldorisio descrive Galileo Galilei analizzando la sua scrittura.

Più o meno contestualmente nel 1622 Camillo Baldi (1547-1634), docente dell’Università di Bologna di logica e filosofia, pubblica un saggio di grafologia dal titolo Trattato, come da una lettera missiva si conoscano la natura e le qualità dello scrittore

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Baldi – Come da una missiva si conoscano la natura e qualità dello scrittore

In esso troviamo l’embrione della futura grafologia. Vale la pena citare alcune illuminanti osservazioni che l’autore dettaglia nel suo Trattato:

«Se il carattere – (morfologia delle lettere, ndr) – sarà veloce e disuguali le lettere ed altre grosse, altre sottili e non si veggia essere difetto della penna, ma abito dello scrittore, probabilmente si potrà concludere che egli nell’altre sue azioni sia disuguale, e nelle voci ancora apparirà questa inegualità, che nello scrivere si vede».

Ancora:

«Se il carattere è picciolo assai e lo scrittore è vecchio, o non gli vede molto, o vero è uomo di poco spirito, il che si capisce dalla sottilità del carattere».

Baldi elenca quindi una serie di specificità della scrittura e ad ognuna attribuisce un tratto somatico e caratteriale. Egli prende in esame anche il vocabolario, il fraseggio, lo stile, il contenuto e, cosa molto importante, sceglie la lettera missiva quale oggetto di studio percependo, in tale modalità di comunicazione scritta, maggiore ‘spontaneità’ rispetto ad altri manoscritti di stesura più formale. La sua intuizione è quanto mai attuale nella grafologia moderna dove la produzione grafica spontanea, tanto è più immediata, quanto più psicologicamente espressiva. Introduce inoltre un altro fondamentale requisito necessario nell’analisi di una scrittura, ovvero la necessità di esaminare più produzioni grafiche possibili di un soggetto, al fine di valutare la variabilità grafica personale nel tempo. Concetto che verrà approfondito e ripreso dai successivi studiosi. Da questo periodo storico in Europa iniziano studi sempre più approfonditi ed indipendenti tra loro e vanno via via delineandosi le tre scuole di pensiero che gettarono le fondamenta della attuale grafologia; precisamente in Francia, Italia e Germania. Gli autori, approfondendo la materia autonomamente, giunsero comunque alla medesima deduzione, ovvero l’innegabile attinenza tra la scrittura e il comportamento.

Johan Kaspar Lavater (Zurigo, 1741-1801), scrittore, filosofo, teologo e uno dei massimi esponenti della fisiognomica, si convince sulla coerenza espressiva tra linguaggio, incesso e scrittura. L’autore approfondisce lo studio sul mutamento della scrittura e conferma il principio di analogia tra la scrittura e il carattere intuito dai suoi predecessori. Egli osserva inoltre che, la differenziazione grafica, è determinata anche dalle disposizioni in atto e influenzata dall’ambiente.

Nel 1812 viene pubblicato il primo saggio esclusivamente dedicato alla grafologia per opera di Edouard Hocquart (1787-1870): L’arte di giudicare il carattere degli uomini tramite la loro scrittura, di 52 pagine. Il lavoro consiste in una breve introduzione a un’interpretazione ‘scientifica’ della scrittura a mano, seguita dall’analisi di ventidue tavole incise di campioni autografi. Sono incluse le grafie di Marie Antionette, Racine, Madame de Maintenon, Federico il Grande, Benjamin Franklin e il filosofo Voltaire, Pascal, Condillac e D’Alembert. L’autore tratta la diversità delle scritture, la somiglianza delle scritture nei membri della stessa famiglia, l’età nella scrittura ecc.

In Germania M.Adolf Henze (1814-1883) osserva che gli alunni di una stessa classe, imparato a scrivere dal medesimo modello, tendono a differenziare la loro scrittura. Rileva che, in un determinato soggetto, talune specificità della scrittura rimangono pressoché invariate anche se invitato a scrivere con la mano sinistra, con il piede o con i denti. Anche questa intuizione è stata successivamente posta a verifica ed è tutt’oggi confermata.

Nell’800, oltre a studiosi che hanno analizzato e approfondito con testi monotematici lo studio della scrittura, osserviamo nella produzione letteraria dell’epoca numerosi richiami.

Goethe è stato uno dei maggiori letterati dell’epoca, ma anche un grande collezionista di autografi. Egli nota con stupore la grande variabilità del movimento grafico all’interno delle firme. «Non si può dubitare – scrive – che la scrittura abbia dei rapporti con il carattere e l’intelligenza umana, e che possa dare almeno un indizio del modo di intendere ed operare: bisogna riconoscerle un legame con tutta la personalità». Tanto che, nelle sue Affinità Elettive (1809) si servirà proprio dell’osservazione della scrittura come mezzo per rivelare al lettore la piena sintonia tra i due protagonisti. William Shakespeare fa riferimento alla grafia nelle Dodicesima Notte (atto II, scena V) dove Malvoglio riconosce la scrittura della sua signora, ma si scoprirà essere un’imitazione messa in atto da Maria, che dice a Sir Tobia Belch:

«So scrivere molto somigliante alla mia signora, vostra nipote […] a malapena si potrebbero distinguere le nostre calligrafie l’una dall’altra».

Un chiaro esempio di quel fenomeno che, nella grafologia forense, è definito ‘imitazione a mano libera di scrittura nota’.

Dostoevskij, ne I demoni, fa esaminare al vescovo Tichon i foglietti della terribile confessione di Stavrogin e ne legge, operando una sorta di analisi psicologica della calligrafia del suo personaggio, il disordine interiore, la sciatteria e il disprezzo per gli altri:

«Questo documento, secondo me, è opera di un uomo in uno stato morboso, dettata dal demone che si era impadronito di lui. Pare il dimenarsi di un malato che soffre di un dolore acuto e si agiti nel letto […] è nello stesso tempo qualcosa di mostruoso e di disperato, sebbene scritto, evidentemente con un altro scopo».

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Dostoevskij – manoscritto de I Demoni

La produzione letteraria sullo studio della scrittura prosegue con A. Desbarolles. Nel 1869 conosce J.I. Michon e con lui compone l’opera I misteri della scrittura. L’autore è convinto che il gesto in generale, e quindi anche quello grafico, scaturito dal cervello sia per legge psicologica, l’espressione dei movimenti dell’anima che in esso risiede (frenologia). Ovviamente le deduzioni degli autori finora citati subirono una forte influenza delle correnti di pensiero del periodo storico di riferimento. Si può senz’altro affermare che la grafologia nasce nel tardo Illuminismo dal movimento psicologico che aveva per oggetto lo studio del comportamento espressivo e che tendeva a caratterizzare l’emergere della psicologia empirica da quella razionale. Anche se in maniera frammentaria e approssimativa affiora la volontà di verificare la validità dell’ipotesi che esisteva una correlazione tra grafia e comportamento espressivo.

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