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Sinergie

di Emilio Merletti

«Pronto dottore, Danita sta male!»  La voce concitata di Adrian rivela tutta la sua preoccupazione. «Questa notte si è svegliata e aveva dolori forti allo stomaco. L’ho portata in ospedale, ma ancora non mi dicono niente!»

Adrian e Danita sono una giovane coppia di rumeni, venditori ambulanti che hanno poco tempo e poca voglia di farsi seguire dal loro medico di famiglia. Non mi hanno raccontato molto di loro due, ma quanto basta per sapere delle loro assai precarie condizioni economiche, delle loro aspirazioni frustrate, della loro vita disordinata.

 E delle loro abitudini… alcooliche.  

Un giorno Petru, loro amico e coinquilino del piccolo appartamento che dividono con altri due compatrioti, mi disse usando un tono tra il divertito ed il rassegnato: «Adrian e Danita la sera finiscono almeno due buste di vino. E poi a volte ancora bevono al bar…»

«Dottore, mi aiuta per favore? Va a vedere lei in ospedale?» «Ma sì Adrian, non preoccuparti. Passerò in ospedale durante il giro delle visite domiciliari, e poi ti farò sapere… Ma dimmi un po’… ieri sera Danita ha bevuto un po’, non è vero?» Un attimo di imbarazzo, poi «… sì dottore… un po’ sì. Tutti e due con amici…» «Ho capito, va bene Adrian, ci sentiamo più tardi».

Penso che, date le circostanze, una pancreatite acuta possa essere il sospetto diagnostico più accreditato, e mi organizzo per andare a parlarne al più presto con i colleghi del Pronto Soccorso dell’ospedale, col doppio scopo di informarli dell’urgenza che suppongo e per concertare insieme un eventuale successivo iter di disassuefazione, magari coinvolgendo anche i colleghi del SERT.

Del resto negli ultimi anni la perfetta «sinergia tra ospedale e territorio» è uno degli obiettivi maggiormente ribaditi in tutti i convegni scientifici ed in tutti gli interventi ufficiali dei dirigenti politici preposti alla sanità pubblica. E giustamente!

Dunque, spinto dalla prassi clinica, ma anche confortato dal «politicamente corretto», dopo aver precariamente parcheggiato l’auto nei pressi dell’ospedale, mi accingo a varcare la porta del Pronto Soccorso.

Bolgia dantesca. Musi lunghi. Tensione che si taglia con il coltello. L’incaricato del triage controlla sul monitor il nome che gli ho fornito.

 «Stanza C» mi dice frettolosamente, e riprende il suo lavoro.

«Stanza C» è la scritta sulla targhetta di una porta rigorosamente chiusa.

Provo a bussare, ma nessuno risponde. Busso ancora, ma niente.

Penso alla macchina in divieto di sosta (sono stato fortunato, perché di solito i “divieti di sosta” sono tutti occupati!) e alle visite domiciliari che mi attendono.

Socchiudo la porta e faccio capolino: «Buongiorno, posso?» C’è un collega seduto alla scrivania, e di fronte a lui una donna che tiene in braccio un bambino di pochi anni. Ma è un’immagine fugace, alla quale subito si sovrappone quella di una giovane infermiera che, con cipiglio minaccioso, mi si para dinnanzi.

«Lei qui non può entrare!!» «Mi scusi, sono un medico…»

«E il rispetto della ‘privacy’ dove lo mettiamo?»

E mi sbatte letteralmente la porta in faccia.

Al di là della porta si sente la voce di quello che avevo supposto essere un mio collega: «Vorrei vedere se andassi nel suo studio e cercassi di entrare nella sua stanza!»

Se viene un collega a studio di solito sono io che esco dalla mia stanza e lo ricevo in un angolo tranquillo per sentire cosa viene a dirmi.

Subito. Senza farlo aspettare! Se non posso interrompere lo faccio venire al mio fianco. Sarò stravagante?

Eppure mi ricordo i primari di un tempo, che continuavano con te la visita in corsia.

Ce n’era uno che ogni volta mi diceva: «Benvenuto. Qui sei a casa tua».

Non c’era ancora il concetto dicotomico ‘ospedale / territorio’, solo la ‘classe medica’, che forse era una casta, ma almeno apparentemente era ispirata ad una cordiale collaborazione.

Guardo i malati in corridoio, fuori da quella porta chiusa, sulle barelle addossate al muro. Chi è attaccato ad una flebo, chi ha un sondino naso gastrico fissato sul viso con un grosso cerotto, chi si lamenta e chiama aiuto ad alta voce, chi ha altro da pensare che coprire le sue nudità. Tutti così diversi, tutti ugualmente esposti, con le loro sofferenze, al via vai di chi passa di lì.

Penso che veramente la sinergia ospedale-territorio debba essere migliorata.

E il rispetto della ‘privacy’ anche.

“Mi sono sentito un verme. Non fumerò mai più”.

Nella lunga storia del genere umano (e anche del genere animale)
hanno prevalso coloro che hanno imparato 
a collaborare
ed a improvvisare con 
più efficacia.


Charles Robert Darwin

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