La pratica sportiva dall'infanzia
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La pratica sportiva dall’infanzia

Salute & sport

di Nicola Iacovone

 

La società odierna è caratterizzata dall’aumento della sedentarietà (malattia ipocinetica) e da abitudini di vita non corrette, fin dall’età prepubere.

Uno dei compiti dei medici e degli operatori del settore sportivo, dovrebbe essere quello di stimolare ed indirizzare l’attività fisica già nell’infanzia, in modo da creare i presupposti perché venga proseguita anche in età adulta.

Gli effetti benefici dello sport si estrinsecano in una crescita fisica ottimale, in una precoce maturazione psichica e nella prevenzione dei danni conseguenti alla precoce immobilità.

Nei primi anni di vita l’attività motoria viene svolta nel bambino in maniera spontanea sotto forma di gioco (in casa, asilo e scuola), successivamente come attività ludica organizzata (centri sportivi o palestre). Allorquando vengono impiegate metodiche di allenamento tendenti ad esaltare le attitudini di ognuno, allora diviene attività sportiva agonistica.

Lo sport permette agli adolescenti di raggiungere più precocemente la statura definitiva, influenzando positivamente la maturazione scheletrica, senza alterare l’altezza definitiva, stimola l’ipertrofia muscolare con incremento della massa magra e riduzione del tessuto adiposo (peso invariato) ed inoltre, permette di modificare determinate variabili morfologiche e funzionali cardio-vascolo-polmonari.

Tra queste ultime meritano di essere ricordate a livello cardiaco: l’aumento del volume e delle pareti miocardiche con incremento della gittata sistolica, aumento del volume ematico e dell’emoglobina totale, diminuzione del fabbisogno di ossigeno del miocardio con minor frequenza cardiaca al lavoro muscolare  submassimale. A livello polmonare si osserva: aumento della massima ventilazione volontaria e del volume corrente, associato a diminuzione della ventilazione, della frequenza respiratoria e dell’equivalente ventilatorio al lavoro submassimale. Tutte caratteristiche che si rendono più evidenti praticando lo sport anche in età adulta.

Nella scelta del tipo di sport, sia per il bambino che per l’adulto, il medico ha un ruolo di grande rilievo.

Nel bambino non tanto influenzandone la scelta, ma assecondandola e controllando l’effetto che essa ha su di un organismo in continua evoluzione ed, eventualmente, consigliando la disciplina più idonea al grado di maturazione psicofisica raggiunta.

La pratica sportiva dall'infanziaAd esempio negli sport asimmetrici è opportuno controllare gli effetti che tali discipline provocano sull’apparato muscolo-scheletrico interessato (tennis, scherma); negli sport di contatto il bambino deve possedere buona maturazione fisica e mentale per il tipo di prestazione richiesta (calcio, pallacanestro, arti marziali); negli sport di resistenza è importante l’acquisizione della capacità di sopportare sforzi più o meno intensi prolungati nel tempo (sci di fondo, corsa, nuoto); negli sport di destrezza l’acquisizione delle capacità coordinative (sci alpino, equitazione, vela).

Fondamentale è anche la conoscenza, da parte del medico, dell’età ideale per iniziare ogni singola disciplina sportiva ed eventualmente per proseguire nell’agonismo di essa (per la quantità ed intensità dello sforzo richiesto dal carico allenante) e per poter intervenire qualora il bambino non avesse raggiunto l’idoneità psicofisica.

LA SINDROME IPOCINETICA

Le prime osservazioni sulla sindrome ipocinetica risalgono agli inizi degli anni ’60 quando due attenti studiosi americani notarono delle modificazioni sia anatomiche che funzionali a carico dell’organismo di coloro che non praticavano alcuna attività motoria.

Il mancato uso di organi o apparati che comunemente vengono coinvolti dalla pratica sportiva, aveva come diretta conseguenza una ipotono-trofia muscolare ed era la causa dell’origine di alcuni quadri clinici definiti successivamente “paramorfismi”(modificazioni della normalità di strutture organiche senza che esse giungano necessariamente a sviluppare una franca patologia).

La prevenzione e la terapia dei paramorfismi richiede come primo approccio la modificazione degli “stili di vita” e l’adozione di un adeguato, continuo e regolare regime motorio, il tutto associato all’eventuale correzione del sovrappeso.

Motivo per cui capita di osservare paramorfismi dell’apparato muscolo-scheletrico nei bambini e paramorfismi metabolici, cardiocircolatori e polmonari negli adulti, sovente in associazione a inabilità emotiva e relazionale in entrambi i casi.

Tra i paramorfismi tipici degli adolescenti ricordiamo: l’atteggiamento scoliotico o scoliosi funzionale, la ipercifosi cervico-dorsale, la iperlordosi lombare, l’instabilità della rotula, il varismo e valgismo delle ginocchia.

Tra i paramorfismi degli adulti ricordiamo: le alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico, rapporto peso-staturale sfavorevole, volumi polmonari ridotti, potenza aerobica ridotta, pressione arteriosa e circolazione periferica inadeguata alle richieste, tachicardia e tachipnea da esercizio fisico.

QUALI I LIMITI?

Nel mese di marzo 2016,  il Ministero della Salute ha reso pubblica un’indagine sull’uso smodato degli alcolici nei giovani dagli 11 anni in poi: ha evidenziato che sono circa 3.200.000 coloro che ne abusano e il campanello di allarme è costituito dall’assenteismo scolastico e dall’improvviso e precoce  abbandono dello sport. Tale fenomeno ci invita alla riflessione.

 L’attività sportiva introduce il bambino in un mondo in cui, con i suoi coetanei, può maturare un rapporto su basi razionali di uguaglianza, al di là delle differenze sociali ed etniche. Un mondo in cui, l’unica possibilità di inserirsi, è legata alle proprie capacità fisiche e psichiche, senza aderire ad alcun “gruppo sociale” per la ricerca di consensi.

Ciò lo pone in alternativa ai condizionamenti della società che lo stimolerebbero verso traguardi effimeri quali il consumismo, il simbolismo, il prestigio e l’ostentazione di “status”.

Lo sport, nell’infanzia e nell’adolescenza, non è solo sublimazione dell’aggressione, ma anche controllo e rispetto entro le norme di gara, permettendo di potenziare le istanze psicologiche deputate all’autocontrollo (azione catartica dello sport).

Spesso il gesto atletico rappresenta per il giovane un mezzo di espressione corporea (anche psichica) per identificarsi nell’adulto e quindi per assumere atteggiamenti e comportamenti più maturi.

La morale sportiva, che nasce dalla pratica di esso, rappresenta la garanzia di un comportamento emotivamente e socialmente equilibrato. Mediante lo sport il bambino può affermare l’autonomia della propria personalità, liberarla dai fantasmi dell’infanzia, quali i bagagli emotivi ed i precari equilibri psico-affettivi, per integrare il tutto nella realtà.

Durante la crescita adolescenziale, per il riassestamento endocrinologico ed ormonale tipico dell’età, nel corpo dei giovani avvengono dei cambiamenti morfologici, fisiologici e mentali, che creano una nuova immagine corporea e del “proprio sé”, tipica per ogni adolescente. In alcuni casi, nel corso del processo di costruzione fisico-corporea e della personalità dell’adolescente, si possono persino sviluppare vere e proprie “crisi d’identità” che possono persino sfociare in forme ansiose, depressive od anche più severe.

Indubbiamente, durante tale processo costruttivo, la famiglia, la scuola e gli amici (ad esempio i coetanei che vengono frequentati presso il “centro sportivo” o palestra), costituiscono i “gruppi sociali” di riferimento e mediante l’adesione o meno ad uno o più di essi, si crea il “modello” da perseguire durante tutta la crescita adolescenziale.

La pratica sportiva agisce positivamente su tutto ciò in quanto abitua alle regole, alla “vita di gruppo”, educa alla programmazione, conferisce finalità alla “monotonia del quotidiano” ed evita lo stato d’inferiorità che frequentemente si presenta nella crescita adolescenziale (azione preventiva dello sport nei confronti di stati devianti,ad esempio il bullismo).

Purtroppo, problemi severi potrebbero nascere nel momento in cui l’attività sportiva dal non-strutturato livello del gioco ricreativo, si trasforma nel livello altamente strutturato dello sport competitivo. In questo momento il gesto atletico del giovane sportivo, diviene esibizione biomeccanica supervisionata da un essere adulto (allenatore o istruttore).Il desiderio di identificarsi nei grandi atleti dotati di prestigio, gli impongono la ricerca di un pubblico. Per ottenere la perfezione e quindi successo, è disposto a dare tutto di sé, sia fisicamente che psichicamente.

Lo sport non è più motivato dai bisogni ricreativi, ma dall’incremento delle ricompense esterne.

I giudizi che i tecnici sportivi danno alle sue abilità motorie, vengono dall’adolescente proiettate verso la propria personalità. A questo punto egli perde il contatto con il mondo interiore e l’unico mezzo valutativo di sé, lo ottiene con i buoni risultati delle gare.

Qualora il potenziale atletico non si realizzasse e la vittoria venisse meno, allora potrebbero scatenarsi conflitti psicologici che lo allontanerebbero dallo sport, creandogli la possibilità di proiettare le frustrazioni dell’insuccesso anche in altri campi (scuola, famiglia, amici, ecc.).

L’attività sportiva competitiva, durante la crescita adolescenziale, può tradursi faticosa, impegnativa e può divenire totalizzante, qualora si dimenticasse di considerare l’adolescente nella sua interezza, scatenando in esso bisogni che lo porterebbero a vivere nello sport competitivo, l’unico obiettivo valido della vita.

Di conseguenza si impone, da parte di ognuno di noi, particolare attenzione nella fase propositiva dello sport, per non perdere le enormi potenzialità insite nella pratica ludica.

L’attività sportiva possiede potenzialmente un elevato valore educativo e provvedendo alla maturazione ed alla crescita umana dei praticanti a cui si rivolge, è opportuno che sia commisurata alle singole esigenze di ognuno di essi.

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