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Grani antiche e grani moderni

di Paola Marconi

Inizierei con alcuni interrogativi che, fortunatamente, già da qualche tempo stanno occupando la scienza nel trovare le risposte adeguate…

  1. Esistono differenze tra grani antichi e grani moderni?
  2. Esiste qualche differenza nella digeribilità dei grani antichi e di quelli moderni?
  3. Le differenze tra i due grani possono o meno provocare effetti diversi dal punto di vista infiammatorio nell’uomo?
  4. Esiste una predisposizione genetica a questi effetti pro-infiammatori nell’uomo?
  5. Come i processi industriali che riguardano la lavorazione del grano impattano sul nostro ‘pane quotidiano’ e sulla pasta, cioè i carboidrati più amati dagli italiani?

In Italia, intorno agli anni ‘30, nasce, ad opera dell’agronomo e genetista Nazareno Strampelli, la cosiddetta ‘Rivoluzione Verde’; in quegli anni in Italia l’importazione era bloccata e l’anno 1939 lo ricordiamo come l’unico anno in cui l’Italia era completamente autosufficiente per la produzione di grano (si tenga presente che oggi il nostro Paese importa circa il 40% dello stesso).

Nazareno Strampelli inizia a selezionare delle nuove varietà genetiche di grano, e capisce che una delle chiavi per aumentare la resa agricola rispetto al grano è ‘l’abbassamento della taglia’, poiché l’allettamento del grano (i grani antichi erano alti almeno 180 cm… oggi alcuni non arrivano neanche a 50 cm di altezza) porta ad una perdita consistente della raccolta, questione che doveva essere ovviamente risolta per affrontare il problema della produttività agricola.

Dopo Strampelli arriva Norman Ernest Borlaug, agronomo e ambientalista statunitense vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 1970, che riprende questo lavoro e lo porta negli Stati Uniti.

La Rivoluzione Verde sostiene che è necessario sfamare una popolazione che, conclusa la guerra, è in netta crescita. Da questo presupposto, il ‘lavoro’ della Rivoluzione Verde decolla in tre parti del mondo: negli Stati Uniti con il MAIS, in Europa con il GRANO e in Asia con il RISO. Parte così la grande selezione delle piante ad alta produttività.

Sempre alla fine della Seconda Guerra Mondiale le industrie belliche si ritrovano con i capannoni pieni di nitriti e solfati, sostanze utili per fabbricare le bombe. Quindi vengono selezionate le piante di grano che sopportano un alto indice di azoto (cioè la concimazione aggressiva) e sfruttano bene il grande input di azoto producendo molti semi.

Questa è già una delle grandi differenze tra grani antichi e moderni: i primi non tollerano la fertilizzazione azotata poiché già naturalmente molto alti, quindi non si può fertilizzare un grano antico.

Dal 1950, con il fenomeno dell’Industrializzazione, l’industria ha bisogno di due cose importanti: da una parte la velocità di produzione e dall’altra la forza del glutine, il cui aumento permette di velocizzare i processi industriali.

L’obiettivo diventa ottenere forze del glutine sempre maggiori.

Si arriva a questo punto alla selezione delle piante per nanismo e forza del glutine… risultato: le piante sono alte tra 60 e 70 cm massimo e si abbatte la diversità genetica.

Il grano moderno è uguale ovunque e si adatta il campo al seme utilizzando i prodotti chimici.

Ma perché tanta attenzione alla forza del glutine? Il termine glutine vuol dire ‘colla’. Esso è un insieme di proteine, Gliadine e Glutenine, che con l’aggiunta di acqua alle farine, creano come una maglia, cioè una rete che ha la caratteristica di essere elastica. La rete formata si ‘strappa’ prima nei grani con bassa forza del glutine (quelli antichi) e dopo nei grani con elevata forza del glutine (quelli moderni).

La forza del glutine si misura con uno strumento detto ‘alveografo’ e il suo valore è indicato da ‘W’. Il suo valore è alto se si aggira tra 250 e 400 circa, è basso per valori tra 90 e 180 circa. Chiaramente, più è alto il valore di W più il glutine è forte e la maglia che forma è resistente e in grado di trattenere i gas liberati durante la lievitazione anche per lungo tempo.

I grani moderni hanno un W di quasi 400, addirittura superiore a quello calcolato, con lo stesso strumento, per una gomma da masticare (che si attesta intorno a 250)… viene da sé che l’impatto sulla digeribilità è determinante!

Fortunatamente oggi l’industria ha iniziato a capire che si può fare un buon pane anche con farine che non abbiano un W così elevato, tanto che questo valore può essere compreso tra 200 e 370, per cui tutte farine medio-forti.

Per i biscotti il W delle farine utilizzate è più basso, tra 90 e 160, ma è anche vero che se un supermercato riceve una scatola di biscotti con più di 10 biscotti rotti, la rimanda indietro!

L’industria considera le farine con W inferiore a 90 tutte di bassa qualità e non idonee alla panificazione, range dove troviamo le farine derivanti dai grani antichi, molto spesso utilizzate come mangime per animali…

Ma cosa succede quando le farine con un W tanto elevato vengono a contatto con la nostra barriera intestinale?

Nell’intestino tenue, dove avvengono i processi di assimilazione dei nutrienti, la barriera intestinale è molto più sottile di altre zone dell’intestino. Nel tubo digerente circolano molte sostanze tossiche tipo tossine prodotte dai batteri del Microbiota intestinale, e quindi se c’è un passaggio non regolato dal tubo digerente al sangue, insorgono problematiche legate all’alterazione della permeabilità intestinale.

Il glutine impatta sulle ‘giunzioni’ (tight junctions) che sono presenti tra cellula e cellula e che obbligano tutti i nutrienti a transitare all’interno dell’enterocita per poter poi circolare nel sangue; senza di esse i nutrienti passano liberamente dal tubo digerente al sangue circolante.

Il glutine, ma non solo, impatta sulla permeabilità intestinale a cui segue uno stato infiammatorio che diventa disbiosi a cui si associano le principali intolleranze provenienti dagli alimenti. L’infiammazione cronica, a volte, può portare a problemi con l’autoimmunità.

Il cosiddetto ‘intestino che perde’, o dotato di particolare permeabilità, è collegato a molte patologie come diarrea, costipazione, colite, tiroidite autoimmune, sindrome del colon irritabile, ecc, che certamente si stanno diffondendo moltissimo nella nostra popolazione.

Da qui, la crescente tendenza ad eliminare il glutine anche dove non si è celiaci al 100%, ciò vuol dire che sta aumentando la tendenza a ridurre drasticamente l’utilizzo delle farine tradizionali a cui consegue, purtroppo, un aumento del consumo di carne… ma il glutine non si deve abbondonare come non si può pensare di continuare a consumare l’attuale quantità di carne che si consuma ora… la ‘sostenibilità’ non ce lo permette!

Alcuni studiosi, utilizzando il sangue di soggetti che hanno problemi col glutine, hanno fatto interagire le cellule con i grani antichi e hanno osservato che la risposta negativa è molto più bassa rispetto a quella ottenuta dal una farina tradizionale come potrebbe essere la Manitoba (la più utilizzata nella pizza), che apre le giunzioni provocando permeabilità intestinale. Stessi studi condotti su alcuni bambini hanno addirittura condotto a risultati entusiasmanti!

La comunità scientifica si interroga ancora oggi sul ruolo giocato dall’alimentazione nella diffusione delle intolleranze al glutine, al grano o frumento. Anche se ancora lontani da conclusioni definitive, emerge che sia necessario orientare l’alimentazione verso scelte più sane e consapevoli rispetto alla scelta del tipo di grano e della sua raffinazione…

da qui la riscoperta dei grani antichi.

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