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Cancro e sport

di Nicola Iacovone

Premessa

Tra i miei pazienti, nell’arco degli anni 2001-2012, ho visto morire di cancro alcuni di essi.

Undici esseri umani (nove donne e due uomini) di età compresa tra 25 e 56 anni.

Sono rimasto molto meravigliato nel constatare che le morti erano accomunate dal fatto che, nessuno di essi, aveva praticato ‘attività sportiva o fisico-motoria organizzata’, sia in età adolescenziale-giovanile, sia nelle età successive.

Stupito da questa osservazione, ho dedicato buona parte del mio tempo libero a studiare tale fenomeno e a

stimolare la pratica sportiva nei sedentari e nei ‘sopravissuti o guariti dal cancro’.

Inattività fisica e cancro

L’attività fisica esercita sulle funzioni del nostro organismo effetti benefici, che possono influenzare il rischio di neoplasia. Questi effetti comprendono modificazioni a livello cardiovascolare e polmonare, endocrino, metabolico, della motilità intestinale, del bilancio energetico, della risposta immunitaria, dei processi antiossidanti e di riparazione del DNA (nel 2013 la Federazione Medico Sportiva Italiana ha fornito all’utenza medico-scientifica le Linee guida dell’esercizio fisico in oncologia).

La diagnosi oncologica spesso porta a cambiamenti comportamentali tra i pazienti e i sopravvissuti, con variazioni significative nell’alimentazione e nell’attività fisica, come evidenziato da numerosi studi. Ora più che mai si è resa indispensabile la piena collaborazione tra la medicina dello sport e l’oncologia.

Un soggetto è definito ‘sedentario’ quando, in condizione di veglia, rimane in posizione sdraiata o seduta (ad esempio per guardare la televisione o utilizzare il computer) o è impegnato in attività caratterizzate da un dispendio energetico ≤ 1,5 equivalenti metabolici (metabolic equivalents, MET) per > 8 ore/die. Un soggetto è invece definito ‘fisicamente inattivo’ quando non raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati, ovvero 150 minuti a settimana di attività fisica moderata secondo le attuali linee guida dell’American College of Sports Medicine.

Per cui sedentarietà e inattività fisica producono effetti avversi sulla salute attraverso meccanismi diversi e, di conseguenza, sia la prima che la seconda, e indipendentemente l’una dall’altra, devono essere considerate un comportamento (stile di vita) da correggere ai fini della prevenzione e del trattamento terapeutico delle patologie sensibili ad esse e in particolare del cancro.

Per conoscere e superare queste barriere si è sviluppata una letteratura scientifica multi-disciplinare sull’identificazione e la validazione di strategie di intervento atte a promuovere l’adozione di stili di vita più attivi nella popolazione generale, ed in particolare nelle popolazioni speciali quali sono i malati affetti di cancro.

Alcune evidenze scientifiche

Essere allenati a 50 anni riduce il rischio di morire di cancro. Gli uomini di mezza età e in forma hanno fino al 68% in meno del rischio di morire dei tumori che colpiscono più comunemente il sesso maschile, quali prostata, polmone e colon-retto (American Society of Clinical Oncology). Una ricerca longitudinale, durata oltre 20 anni e condotta su 17.049 uomini di mezza età, ha indagato lo sviluppo dei tumori in rapporto al livello di fitness.

Dati epidemiologici italiani indicano un’associazione tra la presenza di sindrome metabolica, quindi inattività fisico-motoria e aumento del rischio di cancro colonrettale in entrambi i sessi (maggior rischio: 25% negli uomini e 34% nelle donne), cancro della mammella in postmenopausa (56%), endometrio (89%) e fegato negli uomini (43%) (Società Italiana di Endocrinologia).

Recenti studi prospettici condotti negli Stati Uniti, e che hanno coinvolto quasi un milione di adulti senza cancro all’inizio della ricerca, dopo 16 anni, hanno dimostrato che il 14% di tutte le morti da cancro nell’uomo e il 20% nelle donne sono attribuibili a sovrappeso e obesità: inattività fisica.

Camminare 450 min. a settimana permette di guadagnare circa 4,5 anni di vita e 7,2 anni rispetto ai coetanei con BMI superiore a 35 e inattivi. È la tesi finale di uno studio del National Cancer Institute (USA) che ha preso in esame dati di 1,4 milioni di persone tra Europa e Stati Uniti: I più sportivi presentano una minor incidenza di: adenocarcinoma dell’esofago (-42%), tumore del fegato (-27%), polmone (-26%), rene (-23%), stomaco a livello del cardias (-22%), endometrio (-21%), leucemia mieloide (-20%), mieloma (-17%), tumore del colon (-16%), tumori della testa-collo (-15%), tumore del retto (-13%), vescica (-13%), mammella (-10%).

Secondo World Cancer Research è ‘convincente’ l’associazione tra inattività fisica e tumore al colon e al seno; è ‘probabile’ l’associazione tra inattività fisica con il tumore alla prostata; è ‘possibile’ con il tumore al polmone, all’endometrio e al rene.

Preso in visione circa 180 studi retrospettivi di casi-controllo, prospettici di coorte e metanalisi. Molti di essi indicano che siano necessari non meno di 2,5 ore a settimana di sport intenso, oppure 4-6 ore a settimana di sport moderato, per ottenere una diminuzione significativa del rischio oncologico.

In Italia, nel 2017, 3.300.000 persone vivono dopo una diagnosi di cancro (il 27% in più rispetto al 2010) e oltre 900.000 sono i guariti.

Attenzione: alcuni tumori (epatici, pancreatici, tiroidei) sono causati dall’uso improprio e sconsiderato di sostanze doping, soprattutto nello sport amatoriale.

 Classificazione delle attività fisico-sportive

Tale classificazione è in relazione all’impegno cardiocircolatorio e viene valutata in base ai parametri cardiologici, frequenza cardiaca e pressione arteriosa, integrata con i parametri fisiologici per valutare le resistenze periferiche, la gittata cardiaca ed il grado di stimolazione adrenergica legata anche ad influenza psicologica:

Attività di tipo dinamico ad impegno cardiocircolatorio costante: camminare, marciare, correre, pedalare in bicicletta, nuotare, sci di fondo, ecc.

Attività di tipo dinamico ad impegno cardiocircolatorio intermittente: calcio, pallavolo, tennis, sci alpino, ecc.

Attività statiche o di potenza: sollevamento pesi, bodybuilding, ecc.

Oppure:

Gruppo A: attività sportive con impegno cardiocircolatorio di tipo ‘neurogeno’ caratterizzato da incrementi principalmente della frequenza cardiaca da minimi a moderati (senza significativi aumenti della gittata cardiaca) dovuti, soprattutto in competizione, alla componente emotiva.

Gruppo B: attività sportive con impegno cardiocircolatorio di tipo ‘neurogeno’ caratterizzato da incrementi principalmente della frequenza cardiaca da medi ad elevati (e lievi della gittata cardiaca e delle resistenze periferiche).

Gruppo C: attività sportive con impegno cardiocircolatorio di tipo prevalentemente pressorio caratterizzate da frequenza cardiaca da elevata a massimale, resistenze periferiche da medie ad elevate, gittata cardiaca non massimale.

Gruppo D: Attività ad impegno cardiocircolatorio da medio ad elevato

  • D1: caratterizzate da variabile andamento della FC, delle resistenze periferiche e della gittata cardiaca
  • D2: caratterizzate da regolari incrementi submassimali o massimali della frequenza e della gittata cardiaca, e da ridotte resistenza periferiche.

Attenzione:

In prevenzione primaria oncologica, l’intensità, la durata e la frequenza delle discipline sportive da svolgere, sono da considerare globalmente come quantità totale o ‘dose’ del lavoro svolto e da molti studi emerge un rapporto dose/risposta con la riduzione del rischio.

 Tumore del seno

Prevenzione primaria – Una revisione sistematica (48 studi) ha analizzato la relazione tra Attività Fisica (AF) e carcinoma della mammella, concludendo che ad ogni età le donne che svolgono regolarmente AF presenterebbero una riduzione del rischio relativo del 25-30% di sviluppare tale tumore.

L’effetto è maggiore nel periodo post-menopausale che in età fertile, e proporzionale alla quantità, con una riduzione del rischio relativo del 6% per ogni ora/settimana di AF svolta, purché l’esercizio fisico sia protratto nel tempo. L’efficacia dell’AF non sembra dipendere solo dall’indice di massa corporea (BMI).

Una precedente revisione è giunta a conclusioni simili: un’AF intensa (2-7 ore/settimana) durante l’adolescenza riduce il rischio del 25-30%.

Tutto ciò è dovuto alla minore esposizione agli estrogeni endogeni: l’AF allunga i cicli mestruali, riduce il numero delle ovulazioni, la sintesi ovulatoria degli estrogeni, riduce la leptina e, in post-menopausa, aumenta la globulina legante l’ormone sessuale.

Prevenzione secondaria – Uno studio condotto su 2.987 donne con tumore della mammella (stadio I-III) ha rilevato che 3-5 ore alla settimana di AF aerobica (camminare a passo spedito) dimezzerebbero il rischio relativo di morte per tumore della mammella. Nelle donne che praticano più di 3 ore alla settimana di AF vi sarebbe una riduzione del rischio assoluto del 4% a 5 anni e del 6% a 10 anni rispetto a quelle che camminano meno di un’ora alla settimana.

Un consumo di 5 o più porzioni al giorno di frutta e verdura associato a 30 minuti di cammino al giorno per 6 giorni alla settimana porterebbero a dimezzare il rischio relativo di mortalità totale indipendentemente dal BMI (migliore qualità della vita per riduzione dell’ansia, della depressione, delle patologie croniche e influenza positiva sul immunitario).

Secondo le linee guida dell’American Cancer Society, American Diabetes Association e American Heart Association, l’esercizio fisico moderato svolto per più di 30 minuti e per almeno 5 gg/sett. determina:

  • Riduzione nei livelli circolanti di ormoni steroidei (16 a-idrossiestrone)
  • Modificazione dei livelli di fattori insulino-simili ed adipochine
  • Modulazione dei meccanismi di infiammazione ed immunità
  • Modificazioni nel metabolismo ormonale e cellulare (>adipoleptina)

Tumore del colon-retto

Prevenzione primaria – L’AF praticata da 4 a 6 ore la settimana ridurrebbe il rischio relativo di cancro del colon del 40% negli uomini e nelle donne. Il principale meccanismo biologico è l’aumento della motilità intestinale, che riduce il tempo di contatto tra sostanze cancerogene della dieta e la mucosa intestinale. Inoltre, vi è una diminuzione della secrezione di acidi biliari e la modulazione delle prostaglandine coinvolte nella regolazione della motilità intestinale e nella proliferazione delle cellule mucose del colon.

C’è un’alta prevalenza di sindrome metabolica nei pazienti con tumore al colon, ma l’aumentata AF, l’equilibrato introito calorico e la perdita di peso, permettono di incrementare la proteina di trasporto del fattore di crescita insulinosimile e di diminuire il fattore di crescita dell’insulina.

Prevenzione secondaria – Due studi osservazionali (di 573 donne e 883 persone di entrambi i sessi) su pazienti con tumore del colon di stadio I-III o esclusivamente di stadio III, hanno rilevato che la pratica dell’AF per più di 6 ore alla settimana ridurrebbe la mortalità per cancro al colon-retto e quella complessiva. Questi risultati mostrano una concordanza tra loro, osservandosi dei benefici anche nei pazienti più gravi.

Per quanto riguarda la quantità di AF efficace, è stato condotto un ampio studio in Europa (studio EPIC) per indagare l’associazione tra dieta, stili di vita, fattori genetici e ambientali e il rischio di specifici tipi di cancro. Lo studio ha arruolato 413.044 soggetti di 10 Paesi europei, fra cui l’Italia.

L’AF era distinta in attività lavorativa e non lavorativa (eseguire le faccende domestiche, le attività di riparazione in casa, il giardinaggio, salire le scale, muoversi nel tempo libero: camminare, andare in bicicletta e praticare sport). Dai risultati emerge che vi è una proporzionalità fra intensità dell’AF e riduzione del rischio di sviluppare tumore del colon.

Tumore dell’endometrio

L’AF ridurrebbe il rischio relativo di sviluppare tumore dell’endometrio del 20-80%: sono queste le conclusioni di una revisione sistematica che analizza i risultati di 20 studi osservazionali. Sebbene non sia noto con che meccanismo l’AF svolga la sua azione preventiva, sembra comunque che non dipenda esclusivamente dal suo effetto sull’obesità.

I dati sono insufficienti per stabilire in quale periodo della vita la pratica dell’AF è più efficace per la prevenzione, sebbene alcuni studi sembrerebbero indicare un’associazione più forte tra riduzione del rischio ed esercizio fisico svolto in età adulta (ultimi 8 anni). Nessuna conclusione infine si è potuta trarre circa l’intensità, la frequenza, la durata e la tipologia di AF.

Tumore del polmone

Una revisione sistematica condotta su oltre 185.000 persone ha concluso che l’AF, di tipo moderato o intenso, è efficace nella prevenzione del tumore del polmone con una riduzione del rischio variabile tra il 20 ed il 60% con un effetto di tipo dose/risposta (caratteristica rilevata da vari studi osservazionali, in diversi tumori). Tuttavia, gli studi pubblicati successivamente confondono il quadro: uno studio che ha incluso 57.000 soggetti dopo 4 anni di follow-up, ha rilevato una differenza non significativa. Un secondo studio che ha incluso 37.000 soggetti seguiti per 16 anni ha evidenziato che chi svolge AF ha un rischio minore di sviluppare il tumore del polmone. Lo studio EPIC, nel complesso, ha rilevato una differenza non statisticamente significativa.

Tumore della prostata

Il meccanismo biologico è stato identificato nella capacità del lavoro muscolare intenso (maggiore di 4000 kcal settimanale o maggiore di 6 MET) di influenzare i livelli di ormoni coinvolti nella patogenesi di tale neoplasia: aumento della produzione di ormoni sessuali, della globulina legante l’ormone sessuale e dei recettori muscolari (decresce il livello di testosterone libero), alla diminuzione dei livelli circolanti di insulina e dei fattori di crescita insulino-simili. In una revisione sistematica che ha incluso 28 studi, il rischio di sviluppare un tumore alla prostata si è significativamente ridotto del 10-70%.

 Tumore del rene

Non è ancora chiaro il ruolo dell’AF nella prevenzione del carcinoma del rene, ma la pratica soprattutto in adolescenza si correla inversamente con il rischio oncologico.

Il Netherlands Cohort Study, condotto su una popolazione di 120.852 soggetti, in cui è stata valutata la quantità e l’intensità dell’esercizio fisico praticato, ha rilevato che l’AF intensa (30-60 minuti al giorno) solo negli uomini ridurrebbe del 48% l’incidenza del carcinoma renale.

L’esercizio fisico-motorio nel paziente oncologico

Il decadimento fisico dovuto allo stato catabolico, i trattamenti terapeutici con gli effetti avversi, la possibile prognosi infausta e rischio di malattie, sono causa di sedentarietà ed allettamento precoce già in malattia non avanzata.

Per cui l’esercizio fisico-motorio (o sportivo) avviato precocemente permette di ottenere i seguenti risultati: miglioramento della qualità della vita (benessere soggettivo), migliore funzionalità fisica, riduzione della sensazione di stanchezza, minor peso corporeo con riduzione della massa grassa, minore neutropenia, trombocitopenia, mucorrea, diarrea e dolore (il 64% dei pz. oncologici superano la malattia e l’aumento dell’attività sportiva è sicuro ed efficace nei sopravvissuti).

Invece, l’esercizio fisico durante la malattia conclamata e i relativi trattamenti (chemio/radio) e negli ‘off-therapy’, permette di migliorare i seguenti parametri: capacità aerobica (cardio-respiratoria), forza e massa muscolare (contrasta la sarcopenia da trattamento terapeutico), flessibilità, elasticità e massa ossea, composizione corporea, parametri immunologici, ansia, depressione, sonno, mitiga la fatica (fatigue), controllo del dolore e dei linfedemi, autostima e soprattutto ‘qualità della vita’.

Le indicazioni sul tipo, frequenza, durata ed intensità dell’esercizio fisico-motorio da praticare, devono essere individualizzate in base all’età, alla precedente attività sportiva praticata, al tipo di neoplasia, di terapia, all’evoluzione della malattia e comorbilità (in letteratura non vi sono segnalazioni di ‘peggioramento’ legato all’esercizio fisico-motorio).

La prescrizione dell’esercizio fisico

In prevenzione primaria

  • Seno: 4 ore/settimana attività moderata (4-5 MET/ora)
  • Colon: 3-6 ore/settimana attività moderata (2500 Kcal/set)
  • Endometrio: 6 ore/settimana (30 MET/settimana)
  • Prostata: 1 ora tutti i giorni (3000 Kcal/settimana)
  • Rene: 20 min. 5/7 giorni/settimana attività vigorosa
  • Polmone: 3-6 ore/settimana attività moderata
  • Tutte le neoplasie: 30/60 min. tutti i giorni attività di moderata intensità

In tutte le precedenti neoplasie, come programma preventivo-terapeutico motorio, è già sufficiente camminare ‘a passo più o meno spedito’ soprattutto organizzato in ‘gruppi di cammino’.

Nella fase attiva della malattia:

Effettuare un programma integrato di tipo misto: lavoro aerobico associato all’allenamento alla forza (somministrato con carichi progressivi) ed esercizi di flessibilità.

È sconsigliata la pratica sportiva esclusivamente nei tumori benigni che per dimensioni o locazione provocano un impedimento motorio o un’alterata funzionalità dell’organo interessato e nei tumori maligni in fase diagnostica, atto chirurgico, chemioterapia ad alte dosi, ‘fatigue’ da malattia avanzata o stato terminale e nel basso ‘performance status’

Attenzione: alcune terapie oncologiche sono doping: steroidi anabolizzanti androgeni, ormoni peptidici, fattori di crescita, glucocorticosteroidi, narcotici.

In prevenzione secondaria:

Valgono le stesse raccomandazioni della prevenzione oncologica primaria e per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative in generale (in letteratura è comprovata una associazione inversa fra attività vigorosa e mortalità per qualsiasi causa dopo diagnosi di cancro).

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